21 ago 2017

Delhi, il ragazzo del risciò.

I fumi grigi di decine di piccole e malconce ciminiere salgono verso un cielo altrettanto grigio e carico di nuvole del mattino appena sorto.
La temperatura è di gran lunga sopra i 35 gradi e l'elevato tasso di umidità rende i nostri corpi appiccicosi come il retro di un francobollo appena leccato.
Si fatica a respirare quest'area intrisa di odori ma è un nuovo giorno qui a Delhi e noi vogliamo viverlo.
Ore 6 del mattino di un 20 Agosto senza colori, apparentemente tetro e triste come il cielo che ci copre.
Direzione sud, circa 200 km da percorrere per raggiungere la città di Agra dove, un atto di amore verso una donna, ha generato uno dei monumenti più belli al mondo, simbolo dell'India....il Taj Mahal.
Ormai appiedati, ovvero senza più le due ruote di Himma a spingerci lontano, troviamo riparo nell'abitacolo di un taxi dove, la temperatura dell'aria condizionata, condensa sui vetri e costringe Gisella ad indossare una maglia per ripararsi dal freddo artico generato artificialmente.
Ormai abbiamo imparato che le distanze in India, non si misurano in km bensì in ore.
Circa 4 ore dopo quindi.....di fronte a noi abbiamo ciò che per mesi, se non da anni, Gisella sogna di vedere.
Una immensa costruzione di marmo bianco il quale, a fatica, si distingue da quel cielo lattiginoso e carico di umido.
Un marmo lavorato interamente a mano, intarsiato prima e successivamente arricchito ed abbellito da pietre preziose.
Un lavoro immane, durato 22 anni, senza sosta, senza che la notte desse tempo ai lavoratori di prendere fiato. 24 ore su 24, 7 giorni su 7, il tutto moltiplicato 22 anni.
Migliaia di operai morti durante i lavori, migliaia di vite che nulla contavano scaraventate via, dimenticate, usate e successivamente carbonizzate per .....un atto d'amore.
L'imperatore mussulmano Shah Jehan, dopo aver sposato due mogli ed aver ottenuto solo due figlie, sposò Muntaz Mahal, una giovanissima donna ( anzi poco più che bambina ) dalla quale ebbe 14 figli.
Questa, divenne la sua prediletta ma a soli 22 anni morì.
L'imperatore, oltre a giurare di non sposarsi nuovamente, promise di far costruire per la sua amata la tomba più sfarzosa al mondo, ed ora, a distanza di secoli, probabilmente la sua promessa è ancora intatta.
Quel luogo, simbolo di amore per l'India e per tutto il popolo, rilascia luce, increspa la pelle attorno agli occhi, restituisce serenità e pace ma sopratutto pare davvero essere l'ombelico del volersi bene nel mondo.
Infatti....il caldo e l'umidità non danno pace, e questo fa si che un atto d'amore venga compiuto da migliaia di uomini che, assecondando il desiderio della propria donna di recarsi in quel luogo, incrociano i loro sguardi sofferenti in attesa che le memorie delle macchine fotografiche si esauriscano.....beati i tempi delle macchine fotografiche NON digitali, beati i tempi dei rullini con un massimo di 36 foto.....
Centinaia di scatti dopo, e dopo litri di sudore emessi, esausti ma soddisfatti, rientriamo nel gelido abitacolo del taxi per ripercorrere a ritroso i circa 200 km e le circa 5 ore.
Perché 5 se all'andata ne sono servite " solo " 4 ?
Perché Delhi, 21 milioni di abitanti, si è svegliata.......e come un mostro dalle mille braccia si avvinghia su di te creando una morsa spettrale e confusa che ti blocca e non ti consente di procedere.
Ecco perché....ed ecco perché rientriamo in hotel solo a sera tarda, esausti e disidratati come se avessimo compiuto il giro dell'intera galassia in moto.
La notte ci rinfranca e, per le ultime ore in questo mondo dai mille volti, abbiamo in programma un tuffo nella vera India.
Non vogliamo vedere ciò che si può vedere, vorremmo, anche solo per qualche istante vivere, respirare, ansimare e toccare la vera India, quella che magari si fatica a raccontare, quella dove difficilmente vedi il turista, quella che talvolta......si vorrebbe persino nascondere.
Però prima, vogliamo capire, vorremo cercare di portare a casa nostra un pò della loro capacità di vivere insieme nonostante le grandi differenze, in particolar modo religiose, delle quali è composta.
Così ci rechiamo d'apprima nella Moschea più grande della città.
Delhi, storicamente è passata di mano in mano a differenti popoli sulla base di chi fosse in grado di conquistarla. Ognuno di essi ha plasmato e trasformato questa città lasciando traccia della propria cultura, religione e modi di fare.
Chi fra tutti ha contribuito maggiormente sono proprio le popolazioni islamiche, ed è da esse che incominciamo.
A differenza di altri luoghi da noi visitati, a Delhi, anche le donne possono entrare nella moschea.
Così, per la prima volta quindi, anche Gisella seppure intabarrata con una tunica pulciosa la quale è stata costretta ad indossare all'ingresso, si immerge nelle atmosfere ambigue e mistiche di una moschea.
La gente prega, tutti come sempre verso la stessa direzione.
Pochi sorrisi ed un clima ( intendo una sensazione ) interiore che, ancor più dopo la strage di Barcellona, mi spinge ad osservare questi luoghi e queste persone con un po di diffidenza e con la morte nel cuore. Generalizzando sbaglio lo so, ma così è.
Ci rechiamo quindi nel luogo di preghiera più intenso per l'India, ovvero dove Ghandi venne cremato.
Un luogo che per la religione Indù ha una valenza enorme, essendo Ghandi venerato come un santo.
Un uomo che con la parola, solo con la parola e l'esempio, fu in grado di cambiare il suo mondo e quello di milioni di persone. Qualcuno poi, evidentemente non in grado di ferire solo con la parola, lo uccise con una pistola.
Resta la terza grande religione presente in India, ovvero i Sikh. 
Facile da riconoscere....
Sono coloro che hanno il turbante !
In realtà, il turbante non è un vezzo, bensì una delle cinque regole della loro religione:
Turbante con capelli mai tagliati in tutta la vita, il pettine sempre con se, un braccialetto, il pugnale sempre cinto alla vita ed infine le mutande sempre indossate...
Potrebbe far sorridere, ma queste sono le regole di una religione proveniente dal Pakistan e fondata nel 1400 D.C.
Si basa su un concetto tanto semplice quanto disarmante " questa religione consiste nel vivere pratico, nel servire l'umanità e nel generare amore fraterno verso tutti" semplice no ???
Proviamo a farlo anche noi, magari un'ora sola nella nostra vita....e magari questo mondo sarebbe migliore..!!!
Ogni giorno ininterrottamente per tutto l'anno, cucine con enormi pentolone fumanti e decine di Sikh volontari, preparano cibo per migliaia di persone.
Poveri insieme ai ricchi, Sikh insieme a Buddisti, Indù e mussulmani. Tutti mangiano allo stesso tavolo ( che poi sarebbe in terra ), tutti si dividono ciò che quel giorno qualcuno ha donato.
Entriamo in quelle cucine e resto affascinato dal desiderio che queste persone hanno nel cercare di fare del bene ad altri. Un qualcosa di contagioso che mi fa riflettere e fa venire voglia di raccontare quanto sarebbe bello avere magari poco, ma tutti un po' di quel poco in egual misura.
Poi.....a dire il vero, qualche altro vantaggio ad essere Sikh ci sarebbe .....
Le regole sono regole, i fondamenti ed i principi della religione sono sacri ed intoccabili...dice il predicatore Sikh !
E così, mentre io devo passare decine di metal detector per accedere a qualsiasi sito ( Hotel, negozi, siti di ogni genere ) loro entrano e passeggiano liberamente con il loro pugnale alla cintola. 
E come se non bastasse, da motociclista so bene quanto importante sia l'uso del casco, ma so anche bene quanto sia scomodo in condizioni di caldo atroce. Ricordate la prima regola dei Sikh ? Il turbante sempre in testa...!!!
Risultato: i Sikh sono esentati dall'utilizzarlo.....
Insomma, l'India è si un luogo dove sono presenti regole ferree, ma le religioni sono più ferree ancora !!
Non è proprio da noi, tantomeno da me, utilizzare le mie forze per comprendere queste sfaccettature di una metropoli, generalmente preferisco lasciarmi trascinare verso luoghi dove il nulla è padrone assoluto, ma in questi giorni senza moto mi trasformo e, forse, cerco di crescere un po' dedicandomi ad argomentazioni che generalmente non tratto.
Così, come secondo atto d'amore.........trascinato da una esplosiva ed incontenibile Gisella, vengo "democraticamente" convinto a seguirla nel mercato delle spezie.
Nel nostro vagabondare abbiamo già visto e visitato decine di Souk, bazar di ogni genere, ma su tutti, quelli che Gisella predilige sono quelli dedicati alle spezie.
La città di Delhi è divisa in due parti:
 New Delhi, una sorta di finta città pulita ed organizzata dove vivono le caste più ricche, i politici e dove le ambasciate fanno finta di andare tutte d'accordo.
E poi c'è Old Delhi, una esplosione atomica di rumori, frastuoni, confusione, traffico e odori ( e non solo di spezie......)
Ovviamente la nostra meta è nella città vecchia, dove è praticamente impossibile arrivarvi in auto tant'è che il taxista ci suggerisce, nonostante ci rimetta dei soldi, di prendere il risciò.
Ve ne sono a migliaia, un groviglio di corpi sudati ed ansimanti i quali posano l'intero loro esiguo peso su quei pedali arrugginiti per spingere quelle biciclette a tre ruote.
Io tergiverso all'idea di farmi trasportare da quel ragazzo.
Ha l'aria triste ma gli occhi sanno di buono.
Non mi piace essere trasportato e sopratutto mi sembra di sfruttare il giovane.
Poi, rifletto o forse Gisella mi fa riflettere. Questo è il suo lavoro ed il mio compenso darà a lui la possibilità di mangiare.
Lo osservo mentre, in piedi sui pedali cerca di mettere tutto il suo peso per generare l'energia sufficiente a far muovere il mezzo mentre, noi, siamo seduti su di esso.
Il traffico di altri mille risciò unito a quello dei, più evoluti, tuk-tuk lo blocca ad ogni metro e sembra non riuscire a muoversi.
Il sudore ha intriso la sua sudicia camicia sino a renderla bagnata come se avesse fatto una doccia.
Nella mano destra tiene stretto, oltre al manubrio del risciò, uno straccio con il quale cerca di tanto in tanto di raccogliere il sudore che copioso gli inonda la fronte cadendo negli occhi.
Ad un tratto si ferma, mi guarda e sorride.
Siamo arrivati al mercato delle spezie. 
Vi aspetto qui mi dice, così da assicurarsi anche un compenso per il ritorno.
La via delle spezie è un susseguirsi di miscele odorose di vario tipo e natura.
Le più forti sono riconoscibili e, talvolta piacevoli. 
Altre, le meno note o quali odori che non associ a delle spezie.......increspano la gola e rendono difficoltoso il semplice gesto involontario del respiro.
Percorriamo quelle vie Gisella ed io, siamo immersi in quell'India che sa di vero, sa di genuino, sa anche di altro......ma preferisco non dirlo ( sia mai che stiate cenando.... )
Rientriamo a fatica verso il risciò, ed il ragazzo del quale non conosco il nome, riparte con il suo ciondolante ed imperterrito movimento lento.
Penso a lui, penso a me.
Penso a quanta differenza ci sia nelle nostre vite.
Io mi lamento del caldo atroce nonostante sia seduto e non stia facendo sforzi.
Lui, avvinghiato ai pedali, soffre in silenzio e trova la forza di sorridermi di tanto in tanto.
Io, sono al termine di una vacanza stupenda e, magari, sto già pensando a quale potrebbe essere la meta del prossimo anno. In altre parole per me il futuro ha una prospettiva di un anno se non di più.
Per il ragazzo del risciò, la sua vita è adesso, il suo futuro la cena di questa sera conquistata con quelle 400 rupie guadagnate trasportandomi. In altre parole, il suo futuro è sopravvivere.....
Sopravvivere in questo mondo che si fa chiamare India ma credo che sarebbe più corretto utilizzare un modo vecchio come Cristoforo Colombo e chiamarla Indie.....tante sono le differenze che incontri nell'attraversarla.
Sopravvivere dicevo credo che sia la prerogativa della maggior parte delle persone che abbiamo incontrato durante questo viaggio.
Un viaggio in moto, cercando di raggiungere luoghi lontani, talvolta difficilmente accessibili come gli altissimi passi ben oltre i 5000 metri.
Un viaggio con mille difficoltà,  ma che messe al confronto con quelle che vivono quotidianamente le persone in questi luoghi mi fanno sentire terribilmente sciocco.
Domani si torna a casa, nel nostro mondo fatto di un futuro il quale non prevede la sera, la notte e forse neppure il giorno dopo. Quel futuro che dà per scontato ci sia la sera, passi la notte e spesso, non vediamo l'ora che il giorno dopo passi velocemente per arrivare prima al weekend successivo.
Ripenserò al ragazzo del risciò, ed avrò più rispetto per ogni istante che il mio futuro mi metterà di fronte.
Rifletterò su quelle pedalate piene di sudore e di fatica e non scorderò quel sorriso, quegli occhi e quella voglia di fare ancora un metro, e poi il ritorno.
Domani torno a casa, domani è futuro !

Viaggio in pillole
Km totali, 3200 - apparentemente pochi.....ma solo apparentemente 
Km su sterrato, 2600 
Moto utilizzata, Royal Enfield Himlayan
Problemi alla moto - un forte e preoccupante rumore alla trasmissione ( detto ciò, ci ha portati ovunque e non si è mai arresa )
Passi oltre i 5000 metri, 6 fra questi, due volte il Khardung La ( passo carrozzabile più alto al mondo )
Passi oltre i 4000 ma inferiori ai 5000, 4
Problemi di salute, nessuno ( tolto un pezzo di pollice abbandonato per strada )

Ringraziamenti:
Al rientro da ogni viaggio ho portato a casa mille ricordi.
Ogni viaggio ricordi diversi.
Ma in ogni viaggio ho trovato qualcuno che mi ha fatto crescere.
Ti ringrazio amico mio. Grazie per quello sguardo aperto, grazie per quel sorriso sincero, grazie per avermi insegnato cos'è il futuro.
Grazie ragazzo del risciò.
Grazie a Gisella per la forza, la caparbietà e la determinazione. 
Mai mollare, mai arrendersi. Si parte per ritornare, si torna per ripartire.

Buonanotte India, buonanotte mondo.

Fine del post, fine del blog, fine del viaggio.
Da domani, si ricomincia a sognare.



























Grazie per averci seguito!!!!!!
Gisella & Gianni


17 ago 2017

Ladakh - Kashmir in moto .... Per molti, non per tutti

La polvere di questo viaggio è ancora presente in qualsivoglia interstizio delle nostre giacche, dei pantaloni ed, ancor più, nelle pieghe della nostra pelle.
Ma questo accade ogni qualvolta si rientra da luoghi dove la natura prepondera.
A breve, fra qualche doccia, la polvere svanirà scivolando via insieme all'acqua della doccia.
Ciò che resterà invece, attaccato indelebilmente, sarà il ricordo ai questi luoghi e le difficoltà richieste da esso per superarlo.
Manali, 17 Agosto 2017, ore 13.30 di questo mondo indiano non poi così distante da casa nostra ma così profondamente diverso.
Il verde di un prato nascosto dietro la siepe che separa l'hotel dalla strada ci dá respiro e quiete.
Siamo rientrati da poco dal restituire Himma, la nostra moto presa a noleggio 15 giorni or sono.
L'abbiamo lasciata al suo legittimo proprietario, abbiamo rimosso il peso dei nostri bagagli da essa, per l'ultima volta ci siamo girati ad osservarla ed in qualche misura.....ringraziarla.
Grazie a lei, anche grazie a lei, questo sogno si è tramutato in viaggio ed ora in ricordo.
Quel ricordo che neppure mille docce rimuoveranno, quel ricordo che alla fine è lo scopo del viaggio.
Siamo stanchi, davvero tanto.
Se torniamo indietro, riavvolgendo il nastro dei ricordi, quel giorno quando partimmo da dove ora siamo, sotto la pioggia monsonica, salendo verso il primo passo oltre i 4000 metri che già sembrava alto, se ripenso a quel giorno mi sembra siano trascorsi mesi, in relata solo due settimane.
Dipenderà forse dal fatto che le mille immagini di questo viaggio hanno talvolta saturato la mia memoria come fosse la scheda di una fotocamera. Dipenderà dalla durezza del luogo, il quale rende ogni tappa, anche se corta, una piccola impresa.
Queste imprese, che per noi diventano tali quando alla sera collassi su di un letto e prima di spegnere il cervello ripensi, sono semplici giorni, come gli altri 364 dell'anno, ma talmente differenti fra loro, mai uguali, mai facili tanto da essere unici.
Abbiamo navigato su questo pianeta per anni, sempre in moto e sempre cercando esperienze che arricchiscano il nostro modo di vedere il mondo con occhi più grandi e senza paraocchi.
Quest'anno abbiamo navigato sulle strade del Ladakh e del Kashmir, incrociando sapori, odori, immagini, fatiche e paure differenti.
Due aree geografiche vicine fra loro ma che, ai nostri occhi, paiono far parte di due mondi differenti.
Il primo, per morfologia, per strade, per montagne, per passi altissimi, per persone e religione....ha rappresentato per noi un ambiente che, sin da subito, ha trasmesso pace interiore e serenità.
Il secondo, credo per le stesse ragioni, ci ha messo nelle condizioni di allerta costante, con un gran senso di solitudine e vulnerabilità.
Viaggiare verso posti nuovi, non significa sempre andare incontro a situazioni pronosticabili, anzi.
Viaggiare verso mete sconosciute spesso significa partire da casa con poche cose ma senza dimenticare la più importante, la capacità di adattamento.
Non troverai sempre un luogo pulito ed ospitale da utilizzare come rifugio la notte.
Non percorrerai sempre strade prive di pericoli.
Non ti imbatterai spesso in persone pronte ad aiutarti e magari, alcune di esse, apparentemente sembreranno ostili.
Ecco perché conta la tua forza di volontà e la capacità di adattarsi, di riconoscere sempre un bicchiere mezzo pieno anche quando tutto, proprio tutto, pare vuoto.
E poi noi, quei tipini occidentali dalla perenne puzza sotto il naso.
Quei finti " bontoniani " che crediamo sempre di essere i padroni delle buone maniere e del corretto stile di vita, si proprio noi, talvolta ci imbattiamo in culture talmente differenti dalla nostra da farci sentire catapultati in altre ere.
E così, mano a mano che i km passano sotto le ruote di Himma lasciando piaghe dolorose ed evidenti sulle nostre chiappe più abituate ai lisci asfalti " bontoniani " che ai selvaggi sterrati del nord dell'India, spostiamo i nostri corpi e le nostre menti versi luoghi lontani, verso culture e modi di fare altrettanto lontani.
Così è, sulla strada di un mondo che cambia anche solo dietro una curva.
Così è e nulla puoi fare salvo adattarti e cercare il bello nell'apparentemente brutto ed il facile nel tremendamente difficile.
Oh certo ....talvolta non è facile per noi che ci laviamo i denti con l'acqua della bottiglia al posto dell'acqua del rubinetto oppure usiamo l'amuchina per disinfettarci le mani prima di cenare, scoprire di essere così diverso e forse, proprio grazie all'amuchina, così vulnerabile.
Magari e ancor più difficile rendersene conto se lo vivi dentro al documentario che la vita in questi luoghi ti porta a fare.
Così capita che per esempio, mentre parli con un indiano per chiedere una informazione, questi ....con aria assolutamente tranquilla e trasparente, ti rutti in faccia.
Il rutto, atto naturalissimo e segno anche in altre culture di apprezzamento, magari avviene dopo un lauto pranzo a base di Naan all'aglio inzuppato in Daal piccantissimo il tutto debitamente intinto in salsa all'aglio e coriandolo.
I fumi ed i vapori sprigionati farebbero socchiudere gli occhi e storcere, come minimo, il naso anche ad un facocero......ma tu non puoi e così mentre ti penti di aver chiesto indicazioni all'indiano digerente, ascolti il tuo nuovo amico lasciando che i lacrimoni generati dai vapori ti solchino il viso creando rivoli di polvere umida su di esso.
Tutto appare diverso e tutto deve essere interpretato.
La guida in India ad esempio è frutto, forse, di una cultura tramandatasi nei secoli, passando da chi si spostava a piedi, per poi passare a mezzi di trasporto animale come cavalli o asini.
Il tutto, leggermente ma neppure tanto, adattato ai veicoli moderni, come le auto, i camion o le moto.
Ti trovi quindi scaraventato, dopo poche ore di aereo, in un ambiente del tutto nuovo nel quale tu, " bontoniano " con la regola del dare precedenza a destra, rischi di essere considerato meno della vacca accrogiolata in mezzo alla strada.
Scopri per esempio, dopo 10 minuti di attesa per immetterti su una una strada, che il clacson è l'unico mezzo che hai per farti notare. Sembra quasi che nessun Indiano ti noti, pare che siano tutti ciechi e che l'unico senso funzionante sia l'udito.
Ecco allora che magicamente ti notano, una mano spunta da un finestrino, e con un gesto tanto lento quanto importante, ti fa segno di passare.
Prima regola imparata, la precedenza ce l'ha chi suona il clacson !!
Dopodiché ti immetti in strada e, rammentando che in India si guida a sinistra come in Inghilterra, presti attenzione alle frecce dei mezzi che ti precedono.
Un auto davanti a te ad un tratto accende la freccia a destra.
Dovrà girare, penso io, quindi rallento e attendo che svolti.
Minuti interminabili di attesa fino a quando una mano, la solita mano dal finestrino si agita indicandomi " passa rincoglionito ".
Seconda regola imparata, la freccia a destra significa: puoi superarmi, ma ......indicherebbe anche devo girare...... Dipende se una mano agitata dal finestrino in forma veloce vi farà sentire dei rincoglioniti, oppure un dito solo indicherà la direzione che il tipo alla guida vuole prendere.
Si impara tanto viaggiando, alcune volte ti senti rincoglionito, ma alla fine constati con piacere di aver appreso qualcosa in più.
Così come i sorpassi.....
Sorpassare, a destra ovviamente, non è per noi molto naturale.
Quindi la manovra avviene spesso in modo non proprio fluido.
Se poi questo lo si vuole fare su strade sterrate, appiccicate a pareti di roccia, a più di 5000 metri di altitudine e con un motore di soli 24 cavalli......il tutto diventa una piccola impresa.
Il sorpasso avviene solo dopo: aver ripetutamente suonato il clacson ( i mezzi pubblici, tutti, hanno una scritta posta sulla parte posteriore che cita " please blow horn " ....ovvero l'invito a suonare il clacson ), aver atteso che il mezzo che ti precede accenda la freccia a destra e, cosa più importante, la mano agitata in segno di " passa rincoglionito". 
A quel punto, entrando in apnea, scali una marcia ( su Himma generalmente passavo dalla seconda marcia alla prima ) ti appendi al manubrio e inizi la manovra.
Nel caso in cui, durante il sorpasso che generalmente avviene in una nube di polvere e gas di scarico talmente densi da rendere invisibile il tuo prossimo futuro, notassi che la mano fuori dal finestrino cambia leggermente modo di essere agitata......ecco allora appenditi ai freni, rientra al tuo posto immediatamente perché da lì a poco, dalla cortina fumogena generata dal mezzo davanti a te sopraggiungerà un altro mezzo in senso contrario e......non vedendoti ma sopratutto non avendo tu suonato il clacson, non frenerà.....
Ho parlato di sapori, odori e sensazioni.
Anche questi ti pervadono mentre guidi, non ti abbandonano mai e non sempre sono facilmente decifrabili.
Sulle strade i " profumi " si mischiano fra loro, l'aglio è preponderante così  come il coriandolo.
Altri mille si sommano ad essi e creano quella sensazione di India, la stessa che provai quel giorno a casa sollevando il tappo di un barattolo di mix di spezie indiane.
Queste però non sono solo spezie.
Le auto hanno bisogno di benzina per muoversi ed emettono gas di scarico.
Gli esseri umani e gli animali hanno bisogno di cibo per muoversi ed emettono .....cacca.
Quindi unitamente al l'aglio, al coriandolo, il mix di "profumi" include anche gli scarichi i quali non sono come da noi " bontoniani " nascosti e celati nel sottosuolo bensì fanno parte del mondo di sopra.
Tutto è naturale e normale in questi luoghi.
Così capita che, mentre stai dando fondo alle tue energie durante il sorpasso di una corriera dentro la quale sono stipate decine di persone e....sul tetto della quale altre decine cercano di restare aggrappate con tutte le loro forze, un po' di sollievo dal sole caldo ti giunga sentendo sul tu viso l'aria che si raffredda contro delle gocce d'acqua.
Sollevi il capo per capire se fosse pioggia ma non scorgi nuvole.
Allora ti rifugi nel tuo modo di vedere le cose e ti appelli al bicchiere mezzo pieno....sarà stato un insetto che, sfracellandosi sul viso ha rilasciato il suo contenuto ( capita spesso in moto ).
Poi, qualche km dopo, arresti la moto per consentire a Gisella di fare qualche foto senza il rischio di essere catapultata lontano dai continui sobbalzi.
La corriera ti raggiunge e ti supera con il loro carico di anime.
Tu riparti e dopo poco ti ritrovi a dover rieseguire la piccola impresa del sorpasso, quindi ti avvicini, suoni, attendi la freccia e la mano e quando sei prossimo a lanciarti noti come, sia dai finestrini sia dal tetto, un continuo ed incessante schizzo di sputi densi e lunghi tagli l'aria sino a cadere in terra creando, insieme alla polvere sottile come il talco, delle polpettine di saliva.
Ripensi a quella sensazione di fresco avvertita poco prima durante il precedente sorpasso e comprendi che, seppure l'idea delle budella di insetto non fosse la più bella, ora ti piacerebbe fosse vero.
Quindi ? Nulla, chiudi la bocca, respiri con il naso, scali la marcia e sorpassi.
Lo sputo, come il rutto, è natura da queste parti.
Un po' meno lo è beccarselo in faccia forse, ma questo solo solo per i bontoniani come me....
Ci si abitua, come sempre è solo questione di tempo e scaltrezza.
Ci si abitua a prendere in mano un bicchiere e faticare quasi a staccare le labbra dal collarino di esso.
Ci si abitua ad assaporare i loro piatti ( squisiti ) ma lavati nel rigolo d'acqua che transita davanti al locale, la stessa acqua dove ci si lava, la stessa che funge da vita per mille cose e animali.
Gli animali, anche loro si sono adattati a questo ambiente.
Dormono di giorno, in quanto il traffico impazzito non gli consentirebbe di muoversi, e si svegliano di notte.
Unica differenza va fatta per le mucche, le quali in quanto sacre, possono fare ciò che vogliono.
Il traffico si immobilizza se ve ne è una in mezzo la strada, le auto, i camion ed ogni mezzo le evitano mentre " pascolano" nelle immondizie dei centri urbani.
Si muovono lentamente e, poco a poco, stanno sviluppando attitudini alla vita in India.
Come ogni essere animale il quale, nei secoli, ha sviluppato caratteristiche per sopravvivere in determinati ambienti, anche le mucche indiane stanno cambiando e sono pronto a scommetterci, fra meno di un secolo.....avranno il clacson !!
Ritornare a Manali, punto dal quale siamo partiti, è stato un mix di emozioni.
Di certo prevale il rammarico di aver terminato il viaggio in moto, ma nel contempo la gioia ( ed un po di sano orgoglio ) di esserci riusciti senza intoppi.
Non è stato un viaggio facile, ci siamo detti Gisella ed io mentre consegnavamo la moto stamane.
In altra forma e per altre ragioni, insieme al viaggio in Mongolia, è stato il più difficile, ma siamo qui e siamo stracontenti di averlo fatto.
Le insidie delle strade, i luoghi remoti sulle montagne, le persone incontrate o dalle quali abbiamo cercato di allontanarci in fretta, tutto questo insieme hanno composto la trama di questa storia.
Una storia che non si conclude ancora.
Lasciamo questo mondo di cieli tersi e cime talmente alte da sfiorare il cielo.
Lasciamo i ricordi sui 6 passi oltre i 5000 metri di altitudine ed i 4 sopra i 4000 metri.
Lasciamo il Ladakh che sa di pace e meditazione.
Lasciamo il Kashmir che sa di terre contese e di pericoli ma che comunque ci ha accolto ed ospitato.
Lasciamo tutto questo per trasferirci, non più in moto, a Delhi dove trascorreremo 3 giorni.
Altre regole, altre emozioni, altre interpretazioni....
Lo racconteremo nel prossimo post, cercheremo di farvi vivere l'emozione di un luogo lontano.
Lo faremo senza filtri e lasciando a casa il bon-ton......tanto qui non serve.
Quindi cari amici, ora che in Italia sono quasi le ore 12 ed è ora di pranzo, ricordatevi di non trascurare alcune regole se un giorno vorrete far visita ai nostri nuovi amici Indiani.
Bicchieri belli sudici in tavola, un bel rutto in faccia a chi vi è seduto davanti e alla fine di tutto.....splasshhh....un bello sputo per terra !
E che la salute sia con voi !!













13 ago 2017

Tibet Free

Una fitta nebbia sale dal basso verso l'alto investendo la cima della collina e le fronde degli alberi sui quali le scimmie, credo babbuini, saltano da un ramo all'altro.
L'umidità ė altissima e tutto pare sudare persino le cose inanimate. 
Il verde del muschio e la sensazione di bagnato è ovunque, si respira un aria densa di particelle d'acqua e la visibilità e pressoché nulla.
La sua casa o forse, il suo tempio, non dista più di 50 metri dalla terrazza della nostra stanza ma a fatica e solo in alcuni momenti riusciamo a scorgerlo.
Pare quasi che questo luogo lui lo abbia scelto per non essere visto, in realtà non l'ha scelto vi è stato esiliato.
Era il 1960 quando, a cavallo di un somarello, scappando e nascondendosi sulle montagne che fanno da confine naturale fra il Tibet e l'India fu costretto a mimetizzarsi fra le persone comuni, mischiarsi fra loro con abiti modesti, raggiungere la città di Dharamsala, inerpicarsi ancora per circa 12 km e li, finalmente ricostruire la sua casa, il suo tempio, il centro spirituale del buddismo nel mondo.
Il Dalai Lama abita qui, a 50 metri da dove ieri siamo arrivati ed ora siamo qui a scrivere.
Un mondo di tibetani esiliati che cerca di ricostruire il loro presente in una terra non loro, senza per questo però dimenticare le loro origini.
Sapevamo di questo luogo che è per i buddisti ciò che rappresenta il Vaticano per i cristiani.
Ed in effetti non manca nulla, comprese le bancarelle di ogni tipo e genere.
Siamo arrivati nel pomeriggio di ieri, dopo un trasferimento montano e tortuoso di circa 200 km.
Siamo scesi molto a sud rispetto le cime che sfiorano il cielo a più di 5000 metri. Siamo scesi dove i monsoni rendono il clima costantemente umido e piovoso in questi mesi.
Arrivando a Dharamsala il traffico Indiano ti fagocita, i mille suoni dei clacson ti assordano ed i mille volti degli indiani alla guida di auto che, nonostante il delirio non paiono mai ammaccate, mi fanno sentire a mio agio in questo luogo.
La salita alla collina, posta a 1800 metri di altitudine è, come di consueto, una piccola conquista.
Le pioggie sgretolano le montagne facendo scivolare sulla strada, ora asfaltata, spanne di fango.
Quindi anche ciò che sarebbe asfaltato diventa sterrato....
Le auto si contendono gli spazi così da intasare e bloccare ogni via possibile.
Non appena un auto o un camion riescono a liberarsi dalla morsa delle altre cento creando lo spazio utile per ripartire, un secondo vi si infila è tutto ricomincia daccapo.
Nessuno litiga, tutti si guardano con occhi sereni in attesa che qualcuno faccia la prima mossa.
È un gioco di scacchi, dove chi ha fatto l'ultima mossa resta in attesa che il proprio avversario, in questo caso altri cento o mille automobilisti, faccia la sua e magari .....sbagli lasciando libero un altro metro di terra dentro il quale, di certo, un terzo incomodo a questo punto si introfulerebbe.
Non credo sia corretto dire che non esistono regole, bensì semplicemente fatico a comprenderle.
Si perché in quel gioco di scacchi, ci siamo anche Gisella ed io, in moto ovviamente, nel fango ovviamente.
La mia testa ruota di 360 gradi come quella di una civetta, o se preferite Barbagianni....
Sento clacson provenire da ogni dove, vorrei dare la precedenza a qualcuno ma sarei costretto a darla a tutti coloro che mi circondano e comunque, questo non basterebbe perché altri cento sarebbero pronti a richiederne diritto.
Quindi, tiro fuori i coglioni, inserisco la prima, noto che Gisella inizia a sventolare le braccia come un vigile urbano posto nel centro di un incrocio e mi lancio.
La ruota davanti entra nel fango, la ruota dietro la segue ovviamente e noi, scivolando ed ondeggiando come su una canoa nelle rapide di un torrente entriamo di prepotenza nella scacchiera di questa nostra India.
È sempre vero, la miglior difesa è l'attacco !
E così, vedendoci determinati e forse.....incazzati, gli altri componenti del complesso gioco nato in quell'ingorgo di fango, si fermano e noi passiamo.
Arriviamo in cima alla collina, una sorta di San Marino nebbioso, putrido e lercio.
I fumi dell'immondizia bruciata, mista ai vapori dei Mooms ( tortelli di carne o verdura bolliti e venduti lungo la strada ), uniti poi alla nebbia del luogo ....rende il tutto di una unica tonalità....grigio India..
Fermo la moto nella piazzetta che fa da imbocco alle viuzze deliranti del piccolo paese.
Gisella scende e si incammina a piedi alla ricerca di un hotel che abbia anche il posto per parcheggiare la moto.
Nel mentre, una sorta di poliziotto con indosso un cappello da texano mi si avvicina e mi dice che devo togliermi in quanto, secondo lui, sono di intralcio......
Mi guardo intorno, centinaia di auto, tonnellate di lamiera e motori fumanti sono bloccati l'uno contro l'altro come tasselli di un enorme puzzle.
Tutti suonano, tutti cercano di conquistare un centimetro di strada.
Ed io.....secondo il finto texano, darei fastidio......?
Accenno un si con la testa, facendo intendere che mi sarei spostato, avvio la moto e mi sposto a destra di un mezzo metro, quanto basta per accontentare l'integerrimo " uomo dell'ordine pubblico".
Finalmente Gisella arriva, sfatta e sudata.
Fatica a parlare ma riesce a darmi le indicazioni per raggiungere l'hotel.
Avanti di 500 metri, dopodiché troverai uno che vende pannocchie abbrustolite, li svolterai a sinistra e salirai su un rampone ripidissimo sino a quando troverai un parcheggio sulla sinistra, lo riconosci perché è completamente ricoperto di muschio e cosparso di polvere bianca ( un allergetico per scimmie ).
Poche indicazioni, sicuramente differenti da quelle che, nel mio mondo mi sarei aspettato, che so....un cartello, una indicazione....
Qui invece devo riconoscere, fra i mille mendicanti, i poveretti  senza gambe, chi di loro stia facendo abbrustolire pannocchie.
Quindi parto, raggiungo il "pannocchiaro" svolto a sinistra e mi inerpico sino al parcheggio.
Himma quasi non riesce a portarmi lassù tanto è ripida la salita, capisco quindi perché Gisella abbia preferito farla, anzi rifarla, a piedi.
Scarichiamo come sempre le borse, ma questa volta con un pubblico di scimmie che, apparentemente divertite, ci osservano.
Lasciamo tutto in hotel e ci dirigiamo verso la casa del Dalai Lama.
Siamo affascinati nel vedere le monache ed i monaci, tutti apparentemente uguali, con i capelli rasati ed il loro vestito rosso e arancio.
Mi appassiona la loro vita in questi luoghi.
Luoghi dove il caos si mescola alla meditazione.
Non capisco davvero dove riescano a trovare la forza di isolarsi nella preghiera e trovare, anche solo per un secondo, quel silenzio e quella pace interiore che è alla base della loro vita.
Io, lo ammetto, in più di una occasione ho davvero sentito forte la necessità di emettere un grido tanto forte da essere udito per tutta l'India, un grido, una esclamazione del tipo " ma cazzooooooo basta con sta clacson !!!".
Loro invece sono li, gambe incrociate, mani intrecciate, occhi chiusi, labbra che lasciano trasparire un piccolo movimento come una preghiera solo sussurrata.
Nulla li smuove, nulla li turba.
Ancora una volta questo mi affascina, la capacità di isolarsi, di rendersi parte di un mondo di silenzi nonostante vivano nel peggior casino che io abbia mai conosciuto.
Poi......quella sorta di catalessi pare rompersi.
Avverto il tipico suono di un cellulare sul quale è appena arrivato un wathsapp.
Un monaco, apre gli occhi, infila la mano destra sotto il saio ed estrae un super tecnologico smartphone.
Legge su di esso il contenuto del messaggio e, sorridendo come se avesse appena letto una informazione scabrosa, la comunica agli altri monaci.
Tutti, a quel punto escono dalla situazione di meditazione ed, uno ad uno, sfoggiano una tecnologia che neppure immaginavo.
iPhone, iPad, iWatch.......tutti a divulgare la notizia appena arrivata.
Mi crolla un po il mondo addosso, mi si impoverisce in un non nulla l'immagine di un mondo ancora libero da vincoli tecnologici.
Mi sento come preso in giro.
Io che pensavo vi fosse ancora, in qualche remoto angolo di mondo, un qualcuno in grado di vivere senza necessariamente essere soggiogato da un insulso e costoso pezzo di elettronica.
Io che mi rilassavo, in quei momenti di pressione e tensione dati dal quotidiano vivere, pensando a coloro che chiusi nella loro meditazione riescono a isolare lo stress estraendo, come una essenza profumata, la serenità di vivere dal semplice nulla.
Io che, molto probabilmente, non ho mai capito una cazzo....
Ora so che non ho ancora trovato quell'angolo di mondo dove questo mio sogno esista ancora.
Forse dovrei arrendermi all'evidenza e tornare a casa senza più cercare quel luogo incontaminato che sogno.
Forse.....
Ma arrendermi non mi piace.
Ed è per questo che domani si riparte ( monsoni permettendo ) verso la Spiti valley, superando i passi che ci separano da essa, cercando quei monti che si affacciano al cielo terso e non più nebbioso.
Per questo andremo lassù dove i telefoni cellulari non prendono .....per ora.
Per questo lasceremo, con rammarico e delusione, questo luogo che ci ha fortemente delusi.
Lo lasceremo però senza dimenticare le sofferenze di questo popolo, di questa gente che se è qui è solo perché ha avuto la forza di abbandonare la loro terra, la loro casa e cercare di ricominciare altrove.
Altrove è dove andremo anche noi, altrove è quel luogo che non conosci.
Io sono fortunato, noi lo siamo.
Possiamo cercare un altrove per scelta e non perché qualcuno mi stai cacciando o ancor peggio perseguitando.
Per questa ragione, per tutti coloro che non possono scegliere, mi stringo in un abbraccio al popolo che ho appena conosciuto e dico loro, sono con voi, non mollate mai, credeteci ancora, Tibet free !!






 





11 ago 2017

Il mio amico Bin...

Il frastuono di una sera Indiana, affacciato al balcone lercio e sudicio di un secondo piano di un hotel altrettanto sudicio, mi stimola a cercare di riassumere in poche frasi un mondo così lontano dal mio che mi pare essere in un film ma in realtà....noi siamo qui, e se questo è un film, noi siamo le comparse di una scena di esso.
Nulla di tutto ciò però è vero, non basta premere il tasto di un telecomando per cambiare film e ritrovarsi di colpo in un ambiente che calzi su di noi come un vestito tagliato da un sarto, occorre vivere questi istanti per non dimenticare mai che il mondo non è ciò che si vive quotidianamente a casa, non è quel recinto sicuro ed ovattatato all'interno del quale ci rifugiamo la sera di ogni singolo giorno, è un mondo che cambia perché noi siamo diversi e nel contempo uguali.
È il mondo che cultura, storia, religione hanno plasmato ma dietro ad esse, inevitabilmente c'è l'uomo.
Quella forma di vita creata per dominare e popolare una sfera di terra e mare circondata da aria respirabile che noi, le forme di vita intelligenti, stiamo rendendo invivibile.
È casa nostra, è casa mia anche questo lembo di terra caotico e sudicio dal quale partono queste frasi forse dettate più dalla stanchezza che dalla ragione ma è casa mia, è il mio mondo, è la mia aria tant'è che.....io qui sopravvivo !
Sono le 5.30 del mattino di ieri quando lasciamo in tutta fretta e quasi di soppiatto Srinagar.
Lo facciamo per evitare l'infernale traffico ed il dirompente, costante rumore dei clacson i quali, all'unisono, risuonano nelle strade, entrano nei timpani, ti sfondano il cervello diventando talmente una normalità tanto da rendersi udibili solo se, per qualche ragione, cessano.
Sappiamo di dover percorrere un tratto di strada a rischio.
Siamo in Kashmir e da subito notiamo migliaia di militari, armati sino ai denti i quali, a distanza di una decina di metri l'uno dall'altro formano due colonne di armi lungo i due lati della strada.
Dico migliaia perché questo accade per i primi 70 km del nostro tragitto nebbioso è umido del mattino indiano.
I fumi delle immondizie bruciate è una leggera pioggia rendono l'ambiente tetro e minaccioso.
Noi siamo soli e l'unica arma che abbiamo è la nostra forza di volontà unita alla cocciuta determinazione del " tutto andrà bene".
Percorriamo quei km nascosti a panino fra due camion militari che, insieme ad altri infiniti, continuano a portare militari armati chissà dove.
Ci chiediamo cosa stia succedendo, ma nel contempo non vorremmo saperlo e neppure volessimo sarebbe facile scoprirlo, quindi.....let's go !
Gisella ha studiato con cura un tragitto sulle montagne e da lì a poco raggiungiamo il paese il quale, dovrebbe, permetterci di imboccare il bivio tanto agognato.
Così è in effetti, anche se per non tediarvi troppo non sto a raccontare quanto sia stato difficoltoso farlo a causa della completa assenza di indicazioni stradali e, di un mondo, che nel frattempo si è svegliato.
Sono le ore 9 del mattino, iniziamo a salire verso l'ennesimo passo, sappiamo che alla meta della giornata mancano solo 140 km i quali, per noi in italia potrebbero essere percorsi in meno di due ore.
Le strade sono difficili, uno sterrato molto insidioso si mostra a noi come un serpente che sale verso il cielo.
Non vi sono altri mezzi su quella strada, solo noi.
La paura che qualcosa vada storto non tarda ad assalirci e come se non bastasse, le uniche persone che incontriamo sono donne e uomini di montagna.
Questi abitano in case di fango con il tetto ricoperto da arbusti ed erba.
I bambini, nati chissà da chi e chissà in che modo, scappano appena ci vedono quasi non avessero mai visto un europeo.
Gli uomini paiono tanti sosia del meschino Bin Laden.
Ci guardano con occhi di ghiaccio, non rispondono al saluto che, sopratutto in territori apparentemente ostili, abbiamo cura di fare agitando la mano in segno distensivo.
Sentiamo forte la paura del "se".
Se dovessimo avere un problema con la moto....se non riuscissimo a raggiungere la città entro sera...se...se...
Poi ci ricordiamo che i "se" noi li lasciamo a casa.....
E così, senza se.....alle ore 18 della sera, stanchi, sporchi ed impolverati tanto da far quasi schifo al più lercio degli indiani, arriviamo a Kishtwar.
Un paese posto a 2500 metri, credo non più di mille anime ma di certo un solo, unico, putrido ed inqualificabile hotel.
Eppure, a noi i quali non più tardi di qualche ora prima eravamo persi chissà dove a 4000 metri in compagnia dei sosia di un terrorista, pare una reggia.
Prendiamo stanza, riponiamo i bagagli in camera così come le due taniche di benzina.
Facciamo una doccia in quel bagno che, seppur più simile ad un porcilaio che ad un servizio igienico, ci pareva pulito.
Usciamo in strada ma sin da subito veniamo accerchiati da uomini che fanno mille domande, sempre le solite: siete sposati ? Avete figli ? Lei è tua moglie ?
Capiamo di dare troppo nell'occhio e decidiamo di tornare in stanza.
Entrando avverto una gran puzza di benzina, sia chiaro, di puzze da queste parti ve ne sono a libera scelta ma quella della benzina in camera da letto è un brutto affare.
Una delle due taniche trasuda ed i vapori hanno saturato l'aria.
Non accendiamo la luce per scongiurare una esplosione e, utilizzando delle cinghie per i bagagli, appendo le taniche fuori dalla finestra.
Tutto facile, tutto bene....
Si, in parte....
La parte non proprio positiva è data da quella fetta di pollice, il destro, che mi viene tranciata di netto nel chiudere il chiavistello della finestra.
Un gran dolore, ma nulla al confronto della immediata e carinissima medicazione di Gisella.
Occorre disinfettare dice lei !
Cosa ho detto io invece non lo riporto in questo post per discrezione.
Poco male, bendato ed incerottato con del nastro adesivo parte dei miei atrezzi per la moto, provo a fingere di essere al manubrio per capire se la mia nuova menomazione mi porti dei disagi.
Il clacson è a sinistra, quindi sono tranquillo, il guanto fa un male cane ma mi abituerò.
Così, come il giorno era iniziato, appena con un pezzo di dito in meno, finisce.....poteva andare peggio quindi siamo felici.
Il mattino di oggi arriva in fretta e così, Gisella e ciò che resta del sottoscritto ripartiamo, destinazione sud, destinazione e obiettivo: uscire dal Kashmir.
Le strade finalmente migliorano, un asfalto quasi asfalto si snoda dinnanzi a noi e ci permette di raggiungere la salita del colle Sinthan pass.
Nonostante l'altitudine le montagne sono verdissime ed un bel sole ci accompagna alla cima.
Appena scollinato il passo notiamo una primitiva tenda costruita forse con un semplice telo.
Sotto di essa un rudimentale quanto affascinante fuoco acceso.
Di fronte ad esso un uomo.
Un viso cotto e carbonizzato dal sole, la barba lunga e rossa come le fiamme del fuoco stesso, un abbigliamento in tutto simile a quel Bin tristemente famoso, ma con una grande, enorme differenza, questo mi sorrideva.
Non esito, non tentenno neppure un attimo, accosto a sinistra, spengo la moto e mi avvicino.
Il Bin buono mi viene incontro, mi stringe la mano e cominciamo a parlare.
Ho detto parlare......non comunicare.
Lui non parla inglese ed io non parlo il suo dialetto, però ci capiamo, forse perché tutti e due abbiamo lo stramaledetto vizio di sorridere.
Si avvicina al fuoco, prende una pentola esternamente nera mentre dentro di mille colori come sono stati i cibi cucinati in essa chissà da quanto tempo senza che venisse lavata.
Prende dell'acqua, una caraffa di latte di pecora, una manciata di pepe, un po di zucchero a grana grossa e mette tutto sul fuoco.
Lui ride mentre io guardo quell'intruglio e penso a come farà Gisella ad ingurgitare il latte di pecora a lei non proprio.....gradito.
Passiamo alcuni istanti dinanzi al fuoco insieme sino a quando l'intruglio inizia a bollire.
Il Bin buono prende un cucchiaino dai mille colori come la pentola, assaggia l'intruglio, fa cenno con la testa che è buono ed a quel punto ne versa due bicchieri colmi, uno per me ed uno per Gisella....
Gisellaaaaaaa, grido io chiamandola mentre lei era già persa a rincorrere le pecore e le mucche in giro per i prati come farebbe Heidy, vieni che il tuo latte è pronto.
Fatico a farla rientrare ma ancor più a deglutire l'intruglio, ma era talmente buono il sorriso di Bin che non poteva essere meno buono il suo intruglio.
Ci sediamo accanto Bin ed io, io mi accendo un sigaro e lui lo osserva incuriosito.
Gli chiedo se ne vuole uno e lui mi sorride nuovamente.
Io cedo, mi avvicino alla moto e prendo un pacchetto intonso di sigari, glielo porgo e lui apre le rughe del suo viso truce squarciandolo con un sorriso.
Stiamo insieme una mezz'ora a parlare senza comunicare.
Ma quel non capirsi è stato più chiaro e forte di tante parole e frasi dette fra persone che dovrebbero comprendersi ma in realtà non si ascoltano.
Risaliamo sulla moto Gisella ed io, quasi in silenzio prendiamo la discesa, ora sterrata, che ci porta qui dove ora lottiamo con quel mondo così differente dal nostro.
Quella discesa che molte ore dopo ci ha consentito di essere su questo balcone lercio e sudicio di un hotel a Chamba.
Fa molto caldo, l'umidità ci rende appiccicosi e mentre guardo la luna riflettersi su queste montagne cercando spunto per scrivere il post, Gisella mi chiede se vada tutto bene.
Io ripenso alla giornata, alla barba rossa del mio nuovo amico che ora starà dormendo di fianco a quel fuoco primitivo, sotto quella tenda ruspante e magari si starà fumando un mio sigaro.
Quindi le rispondo, ma in piemontese........si, tut Bin !