11 ago 2017

Il mio amico Bin...

Il frastuono di una sera Indiana, affacciato al balcone lercio e sudicio di un secondo piano di un hotel altrettanto sudicio, mi stimola a cercare di riassumere in poche frasi un mondo così lontano dal mio che mi pare essere in un film ma in realtà....noi siamo qui, e se questo è un film, noi siamo le comparse di una scena di esso.
Nulla di tutto ciò però è vero, non basta premere il tasto di un telecomando per cambiare film e ritrovarsi di colpo in un ambiente che calzi su di noi come un vestito tagliato da un sarto, occorre vivere questi istanti per non dimenticare mai che il mondo non è ciò che si vive quotidianamente a casa, non è quel recinto sicuro ed ovattatato all'interno del quale ci rifugiamo la sera di ogni singolo giorno, è un mondo che cambia perché noi siamo diversi e nel contempo uguali.
È il mondo che cultura, storia, religione hanno plasmato ma dietro ad esse, inevitabilmente c'è l'uomo.
Quella forma di vita creata per dominare e popolare una sfera di terra e mare circondata da aria respirabile che noi, le forme di vita intelligenti, stiamo rendendo invivibile.
È casa nostra, è casa mia anche questo lembo di terra caotico e sudicio dal quale partono queste frasi forse dettate più dalla stanchezza che dalla ragione ma è casa mia, è il mio mondo, è la mia aria tant'è che.....io qui sopravvivo !
Sono le 5.30 del mattino di ieri quando lasciamo in tutta fretta e quasi di soppiatto Srinagar.
Lo facciamo per evitare l'infernale traffico ed il dirompente, costante rumore dei clacson i quali, all'unisono, risuonano nelle strade, entrano nei timpani, ti sfondano il cervello diventando talmente una normalità tanto da rendersi udibili solo se, per qualche ragione, cessano.
Sappiamo di dover percorrere un tratto di strada a rischio.
Siamo in Kashmir e da subito notiamo migliaia di militari, armati sino ai denti i quali, a distanza di una decina di metri l'uno dall'altro formano due colonne di armi lungo i due lati della strada.
Dico migliaia perché questo accade per i primi 70 km del nostro tragitto nebbioso è umido del mattino indiano.
I fumi delle immondizie bruciate è una leggera pioggia rendono l'ambiente tetro e minaccioso.
Noi siamo soli e l'unica arma che abbiamo è la nostra forza di volontà unita alla cocciuta determinazione del " tutto andrà bene".
Percorriamo quei km nascosti a panino fra due camion militari che, insieme ad altri infiniti, continuano a portare militari armati chissà dove.
Ci chiediamo cosa stia succedendo, ma nel contempo non vorremmo saperlo e neppure volessimo sarebbe facile scoprirlo, quindi.....let's go !
Gisella ha studiato con cura un tragitto sulle montagne e da lì a poco raggiungiamo il paese il quale, dovrebbe, permetterci di imboccare il bivio tanto agognato.
Così è in effetti, anche se per non tediarvi troppo non sto a raccontare quanto sia stato difficoltoso farlo a causa della completa assenza di indicazioni stradali e, di un mondo, che nel frattempo si è svegliato.
Sono le ore 9 del mattino, iniziamo a salire verso l'ennesimo passo, sappiamo che alla meta della giornata mancano solo 140 km i quali, per noi in italia potrebbero essere percorsi in meno di due ore.
Le strade sono difficili, uno sterrato molto insidioso si mostra a noi come un serpente che sale verso il cielo.
Non vi sono altri mezzi su quella strada, solo noi.
La paura che qualcosa vada storto non tarda ad assalirci e come se non bastasse, le uniche persone che incontriamo sono donne e uomini di montagna.
Questi abitano in case di fango con il tetto ricoperto da arbusti ed erba.
I bambini, nati chissà da chi e chissà in che modo, scappano appena ci vedono quasi non avessero mai visto un europeo.
Gli uomini paiono tanti sosia del meschino Bin Laden.
Ci guardano con occhi di ghiaccio, non rispondono al saluto che, sopratutto in territori apparentemente ostili, abbiamo cura di fare agitando la mano in segno distensivo.
Sentiamo forte la paura del "se".
Se dovessimo avere un problema con la moto....se non riuscissimo a raggiungere la città entro sera...se...se...
Poi ci ricordiamo che i "se" noi li lasciamo a casa.....
E così, senza se.....alle ore 18 della sera, stanchi, sporchi ed impolverati tanto da far quasi schifo al più lercio degli indiani, arriviamo a Kishtwar.
Un paese posto a 2500 metri, credo non più di mille anime ma di certo un solo, unico, putrido ed inqualificabile hotel.
Eppure, a noi i quali non più tardi di qualche ora prima eravamo persi chissà dove a 4000 metri in compagnia dei sosia di un terrorista, pare una reggia.
Prendiamo stanza, riponiamo i bagagli in camera così come le due taniche di benzina.
Facciamo una doccia in quel bagno che, seppur più simile ad un porcilaio che ad un servizio igienico, ci pareva pulito.
Usciamo in strada ma sin da subito veniamo accerchiati da uomini che fanno mille domande, sempre le solite: siete sposati ? Avete figli ? Lei è tua moglie ?
Capiamo di dare troppo nell'occhio e decidiamo di tornare in stanza.
Entrando avverto una gran puzza di benzina, sia chiaro, di puzze da queste parti ve ne sono a libera scelta ma quella della benzina in camera da letto è un brutto affare.
Una delle due taniche trasuda ed i vapori hanno saturato l'aria.
Non accendiamo la luce per scongiurare una esplosione e, utilizzando delle cinghie per i bagagli, appendo le taniche fuori dalla finestra.
Tutto facile, tutto bene....
Si, in parte....
La parte non proprio positiva è data da quella fetta di pollice, il destro, che mi viene tranciata di netto nel chiudere il chiavistello della finestra.
Un gran dolore, ma nulla al confronto della immediata e carinissima medicazione di Gisella.
Occorre disinfettare dice lei !
Cosa ho detto io invece non lo riporto in questo post per discrezione.
Poco male, bendato ed incerottato con del nastro adesivo parte dei miei atrezzi per la moto, provo a fingere di essere al manubrio per capire se la mia nuova menomazione mi porti dei disagi.
Il clacson è a sinistra, quindi sono tranquillo, il guanto fa un male cane ma mi abituerò.
Così, come il giorno era iniziato, appena con un pezzo di dito in meno, finisce.....poteva andare peggio quindi siamo felici.
Il mattino di oggi arriva in fretta e così, Gisella e ciò che resta del sottoscritto ripartiamo, destinazione sud, destinazione e obiettivo: uscire dal Kashmir.
Le strade finalmente migliorano, un asfalto quasi asfalto si snoda dinnanzi a noi e ci permette di raggiungere la salita del colle Sinthan pass.
Nonostante l'altitudine le montagne sono verdissime ed un bel sole ci accompagna alla cima.
Appena scollinato il passo notiamo una primitiva tenda costruita forse con un semplice telo.
Sotto di essa un rudimentale quanto affascinante fuoco acceso.
Di fronte ad esso un uomo.
Un viso cotto e carbonizzato dal sole, la barba lunga e rossa come le fiamme del fuoco stesso, un abbigliamento in tutto simile a quel Bin tristemente famoso, ma con una grande, enorme differenza, questo mi sorrideva.
Non esito, non tentenno neppure un attimo, accosto a sinistra, spengo la moto e mi avvicino.
Il Bin buono mi viene incontro, mi stringe la mano e cominciamo a parlare.
Ho detto parlare......non comunicare.
Lui non parla inglese ed io non parlo il suo dialetto, però ci capiamo, forse perché tutti e due abbiamo lo stramaledetto vizio di sorridere.
Si avvicina al fuoco, prende una pentola esternamente nera mentre dentro di mille colori come sono stati i cibi cucinati in essa chissà da quanto tempo senza che venisse lavata.
Prende dell'acqua, una caraffa di latte di pecora, una manciata di pepe, un po di zucchero a grana grossa e mette tutto sul fuoco.
Lui ride mentre io guardo quell'intruglio e penso a come farà Gisella ad ingurgitare il latte di pecora a lei non proprio.....gradito.
Passiamo alcuni istanti dinanzi al fuoco insieme sino a quando l'intruglio inizia a bollire.
Il Bin buono prende un cucchiaino dai mille colori come la pentola, assaggia l'intruglio, fa cenno con la testa che è buono ed a quel punto ne versa due bicchieri colmi, uno per me ed uno per Gisella....
Gisellaaaaaaa, grido io chiamandola mentre lei era già persa a rincorrere le pecore e le mucche in giro per i prati come farebbe Heidy, vieni che il tuo latte è pronto.
Fatico a farla rientrare ma ancor più a deglutire l'intruglio, ma era talmente buono il sorriso di Bin che non poteva essere meno buono il suo intruglio.
Ci sediamo accanto Bin ed io, io mi accendo un sigaro e lui lo osserva incuriosito.
Gli chiedo se ne vuole uno e lui mi sorride nuovamente.
Io cedo, mi avvicino alla moto e prendo un pacchetto intonso di sigari, glielo porgo e lui apre le rughe del suo viso truce squarciandolo con un sorriso.
Stiamo insieme una mezz'ora a parlare senza comunicare.
Ma quel non capirsi è stato più chiaro e forte di tante parole e frasi dette fra persone che dovrebbero comprendersi ma in realtà non si ascoltano.
Risaliamo sulla moto Gisella ed io, quasi in silenzio prendiamo la discesa, ora sterrata, che ci porta qui dove ora lottiamo con quel mondo così differente dal nostro.
Quella discesa che molte ore dopo ci ha consentito di essere su questo balcone lercio e sudicio di un hotel a Chamba.
Fa molto caldo, l'umidità ci rende appiccicosi e mentre guardo la luna riflettersi su queste montagne cercando spunto per scrivere il post, Gisella mi chiede se vada tutto bene.
Io ripenso alla giornata, alla barba rossa del mio nuovo amico che ora starà dormendo di fianco a quel fuoco primitivo, sotto quella tenda ruspante e magari si starà fumando un mio sigaro.
Quindi le rispondo, ma in piemontese........si, tut Bin !




















1 commento:

  1. Fratello ciao! Quando si fanno incontri di questo genere
    con un nostro simile,in luoghi così lontani e diversi dalla nostra quotidianità,vieni ripagato da qualsiasi fatica fatta e ti da la forza di andare ancora avanti.Ti rendi conto che ne è valsa la pena solo per quello....Bravi ragazzi continuate a stupirci ed emozionarci..Dani & Sandy

    RispondiElimina