9 ago 2017

Kashmir, non solo maglioni

Sono pronto a scommettere che, se prendessi 10 persone a caso e ponessi la domanda: cos'è il Kashmir ? Mi sentirei rispondere in grande maggioranza: una lana morbidissima con la quale si tessono tessuti molto cari utilizzati per lo più per maglie.
Sono pronto a scommettere su questo perché io per primo, sino a qualche mese fa avrei così risposto.
Oggi invece, senza maglia di lana, è dal Kashmir che scrivo.
Abbiamo lasciato il Ladakh ieri mattina, diretti a ovest su strade che finalmente, ma solo temporaneamente, lasciavano scorrere le ruote di Himma e davano a tutti e tre la possibilità di godere a fondo dell'incontenibile potenza sprigionata dal suo motore........
Allontanarsi dal Ladakh per avvicinarsi al Kashmir, sin da subito, ci ha rammaricato.
Sapevamo di lasciare un luogo dove si respira una sensazione di pace.
Non so se dipenda dalla religione del luogo, il Buddismo, ma è un dato di fatto che ogni singola persona incontrata sprigionava sorrisi ancor prima di salutarti.
Così anche più a sud, verso Manali, dove la religione è l'Induismo. Anche in quell'area di mondo la sensazione di pace e grande accoglienza era palpabile.
Poco a poco che i km trascorrevano, diventava sempre più improbabile incontrare monaci buddisti per le strade o persone ad essi legati religiosamente.
Cambiano i volti, spuntano i capelli neri corvino, le barbe si allungano e le donne si coprono d'apprima il capo e poi anche il viso.
Siamo su un territorio completamente dedito all'Islam.
Nulla contro esso ovviamente, abbiamo girovagato in mille paesi dove l'Islam è sovrano e mai abbiamo trovato alcun ostacolo o atteggiamenti negativi nei nostri confronti.
Forse sarà il mio subconscio, forse la differente natura che lega il nostro essere con una filosofia, non solo di vita, così diversa.
Forse sarà il kalashnikov che un militare utilizza, puntandomelo sul ginocchio, per indicarmi gentilmente che potevo sedermi mentre lui mi preparava il pass per accedere alla zona.
Forse sarà il vedere militari super armati e addobbati di tutto punto tanto da apparire come pronti per una imminente guerra.
Non so da cosa dipenda ma il senso di disagio un po' ci pervade.........
Sono tanti i km che percorriamo a bordo di Himma anche quando la sera, inevitabilmente arriva.
Abbiamo ancora un passo da affrontare prima di raggiungere Kargil, cittadina profondamente Islamica,posta su un fiume ma sopratutto a pochissimi km dal confine Pakistano. 
Sono le sei della sera e mancano ancora 65 km, molti dei quali sterrati e a più di 4000 metri di altitudine.
Facile dirsi, come già immagino qualcuno starà dicendo, " ehhh fermatevi prima ragazzi"...
Facile dirsi difficile farsi se non vi sono luoghi dove fermarsi, quindi non resta che annullare qualsiasi tappa e volare.
Raggiungiamo la città senza particolari problemi e troviamo riposo,presso un hotel, il quale da lontano pareva una reggia, da vicino una feccia...
La notte trascorre e stamane ripartiamo presto, obiettivo Srinagar in pieno Kashmir.
Sappiamo che a dividere il punto di partenza dall'arrivo ci sarà un ennesimo passo, non molto alto a dire il vero, infatti è più basso dei precedenti, ma di gran lunga il più mitico ed il più temibile, si chiama Zoji La.
La salita ci fa sorridere.
Avevamo letto narrazioni cruente tanto da far stare svegli i motociclisti prossimi a percorrerlo, ma noi di tutto questo terrore non abbiamo visto nulla.
Sino alla cima.....quando poi superato il punto di picco, dietro una curva a destra, lo Zoji si mette in mostra con tutta la sua crudele e spietata pericolosità.
Una ripida discesa disseminata di tornanti di polvere,talmente fine da sembrare talco, pare essere appiccicata ad una parete a strapiombo con la colla.
Sembra impossibile che la strada stia su, infatti mi fermo, arresto la moto, guardo quella strada e sento il cuore che inizia a battere forte.
Noi, scendendo, saremo costretti a stare per la maggior parte del tempo sul lato sinistro, ovvero sullo strapiombo.
Questo significa che quando incroceremo i camion, e ne incroceremo tanti, lo spazio per noi sarà ridotto o forse....dovremo inventarcelo.
Faccio un veloce conto alla rovescia, 3,2,1 ingrano la prima e parto.
Scendiamo galleggiando su quel talco che si deposita su di noi in ogni anfratto, ci impana la lingua come fosse una bistecca alla milanese, entra negli occhi sino a rendermi cieco a tratti.
Le ruote della moto, in particolare l'anteriore si muove quasi senza controllo ma mai senza abbandonare la traiettoria ideale per tenere anche noi, come la strada, appicciati alla parete.
I camion ci sfiorano e noi siamo spesso costretti a cercare rifugio su quel lembo di terra che, a strapiombo sul nulla, ci permetta di stare.
Quasi una apnea di 10 km, una infinita sensazione di pericolo ma nel contempo di bellezza atomica nel vedere quelle montagne e quei vuoti sotto esse.
Forse è questo che spinge gli alpinisti a salire, forse è questo che spinge noi a scendere.
Tocchiamo terra e finalmente troviamo anche il modo di soffermarci a bere.
La lingua, ormai cementificata, fatica a farci deglutire, ma l'acqua che abbiamo con noi ci dà sollievo.
Saranno i nostri visi ormai più simili a statue di talco che a persone, sarà il nostro modo di essere, comunque, felici oppure sarà la gentilezza degli abitanti del Kashmir, sta di fatto che in un attimo siamo attorniati da donne, uomini e ragazzi i quali ci stringono la mano, ci abbracciano stretti e si fanno fotografare con noi.
Un segno di amicizia che, nei nostri viaggi, abbiamo avuto modo di apprezzare mille volte, mai in Europa, mai in quei paesi detti "pacifici", sempre in quei luoghi che magari non ci hanno fatto dormire le notti precedenti.
Questo, dovrei ricordarmelo in futuro. Spesso lo scrivo ma poi lo scordo.....è proprio la dove il prossimo sembra un nemico che trovo invece un amico.
Ripartiamo nonostante lo spessore di polvere e sabbia su di noi quasi ci ricopra totalmente.
Ci accorgiamo di avvicinarci a Srinagar quando iniziamo a vedere il traffico aumentare.
Proprio nei giorni scorsi, parlando con Gisella, le dissi che quella che stavamo vedendo non era la vera India.
L'India che mi immagino e che in parte abbiamo visto in taxi il primo giorno, non sono montagne meravigliose, non sono strade magari sterrate ma stimolanti, bensì è caos, clacson, regole stradali pressoché nulle, fatiscenza e, ai nostri occhi, degrado.
Mancano 10 km a Srinagar e dall'interfono rompo il silenzio che era venuto a formarsi per dire a Gisella " benvenuta in India".
La città ed il suo delirio ci inghiottono.
Entro in un silenzio dettato dalla concentrazione alla guida.
La guida, per chi si chiedesse cosa intendo, non è guidare il mio mezzo bensì evitare ogni sorta di elemento esterno che stia per urtarci. Auto, camion, moto, tuk-tuk, vacche, cavalli, donne uomini, bambini, cani e per ultimo pecore. Tutto questo è abilitato a circolare per strada, in ogni dove un po' di spazio le permetta di stare.
Una ultima ora definibile, un tantino difficile, tanto da farci sembrare il passo appiccicato alla montagna come una qualcosa di salutare e privo di rischi.
Un po provati ma perlomeno ormi privi di polvere in quanto docciati, stiamo programmando la fuga di domani da questo luogo.
Partiremo alle ore 5 .30 del mattino, così da evitare un po di confusione ( almeno speriamo )
Ci dirigeremo in direzione Sud-Est cercando, in qualche giorno, di rientrare in Ladakh verso la Spiti valley.
Ovviamente mi rendo conto che giudicare un luogo, mediante un post, narrando situazioni vissute in soli due giorni sia estremamente riduttivo e non corretto.
Detto ciò mi scuso con il Kashmir, ma di certo ora ne so più di qualche mese fa.
Ora so che che non è solo un maglione.














7 ago 2017

Fumi, polvere e sorrisi

Talvolta, nello scrivere i post durante i nostri viaggi, fatico forse a trasmettere la vera essenza, la reale ragione che ci spinge ad affrontare delle situazioni apparentemente dure e difficili.
Non c'è desiderio di conquista, tantomeno autolesionismo, bensì il solo desiderio di conoscere, di vedere con i nostri occhi quel mondo che ci circonda.
Talvolta anzi spesso, mi scontro con sguardi attoniti o con frasi che avrebbero lo scopo di essere spiritose tipo " ma una crociera no ??".
Bene, partendo dal presupposto che rispetto chi va in crociera, dedico questo post a coloro che leggendolo chiuderanno gli occhi ed avranno, anche solo per un istante, la forza ed il coraggio di viaggiare con noi, di aprire i loro orizzonti ad un mondo che non è sempre cattivo, a coloro che avranno l'umiltà di pensare che anche in una baracca di fango o una tenda in mezzo alle montagne dell'Himalaya vi sono delle persone che hanno un cuore, un anima e che magari sono meglio di noi.
Nubra valley, ore 7 del mattino sulle montagne dell'Himalaya.
Mentre carico la moto, Gisella mi si avvicina e, senza volerlo,  risponde alla mia domanda della sera prima.
Appoggia la sua giacca impolverata sulla sella e mentre si sistema il casco mi sussurra il piano del giorno.
Percorreremo la Nubra valley a ritroso ma, al termine di essa proseguiremo dritto ed andremo a fare una passo che ci porterà verso la valle del Pangong lake.
Il Pangong è un lago a 4000 metri di altezza, le sue acque si dividono fra il Ladakh è la Cina, tant'è che potremo percorrerne la strada attorno solo in parte in quanto i confini cinesi ci bloccheranno.
Guardo Gisella e scopro nei suoi occhi un grande desiderio nel raggiungere quelle acque.
Me ne aveva parlato ancor prima della partenza e credo che sarebbe un regalo riuscire a portarla in quei luoghi remoti.
Avvio la moto, Gisella sale ed insieme ripercorriamo la strada del fondo valle.
Ad un tratto incrociamo le tracce lasciate il giorno prima dai nostri pneumatici scendendo dal Khardung La, ma noi proseguiamo dritti verso una pista sconosciuta.
Percorriamo qualche km, non c'è presenza di camion militari e questo mi esalta, mi fa sentire felice.
Ad un tratto alcuni massi in terra paiono ostruire il passaggio, ma le ruote di Himma riescono ad evitarli e proseguiamo.
Da lì a poco vedo un uomo in mezzo alla strada, il volto ha colore del bronzo acceso, pare bruciare solo al tatto.
Mi fa segno di fermarci, io rallento nonostante la velocità fosse comunque bassissima a causa dello sterrato molto sconnesso.
L'uomo mi dice che devo tornare indietro, la strada è chiusa a causa dell'esondazione del fiume che percorre la valle prima dell'inizio del passo.
Siamo bloccati.
Ci troviamo a 4000 metri, dietro di noi la Nubra valley che muore nel luogo dove avevamo passato la notte è da dove eravamo partiti qualche ora prima.
Davanti a noi l'uomo di bronzo e l'acqua del fiume che ha inondato la valle.
L'unica via di uscita resta ripercorrere il Khardung La, risalire a 5322 metri, riconquistare quelle salite, risorpassare quei camion e poi... ? 
E poi ridiscendere a Leh, da dove una seconda strada malconcia potrebbe forse permetterci di raggiungere il Pangong.
Questo però significa 300 km contro i 90.
Questo significa stravolgere i piani.
Ma questo significa andare dove il desiderio di Gisella le aveva fatto nascere un sorriso.
Per questo non esitiamo, ruoto la moto di 180 gradi, ripercorriamo a ritroso la strada sino alla salita del passo più alto al mondo, prendiamo fiato e iniziamo a salire.
Eravamo partiti dall'Italia per raggiungere e superare questo passo una volta !
Eravamo decisi a farlo,pur sapendo che sarebbe stato difficile.
Ora siamo costretti a farlo come quando a casa mia, la strada principale è chiusa per lavori, ed io devo allungare di un km per raggiungere l'ufficio.
Le ruote iniziano a girare, il motore di Himma annaspa sulla salita del The King of pass, io appeso al manubrio cerco di guidare ma nel contempo di sorreggermi.
Infine Gisella che pizzicata fra me ed i bagagli dietro alla sua schiena si appende a tutto ciò che può per evitare di essere sbalzata fuori. 
La sella di Himma è piccolina e Gisella si trova spesso involontariamente seduta sui bagagli a causa dei sobbalzi causati dal terreno fortemente accidentato.
I camion dei militari sembrano non finire mai.
Dagli scarichi escono cilindri di fumo vomitati fuori ad ogni accelerata.
La polvere ed i fumi quasi ci impediscono di vedere cosa ci sia davanti a noi.
Il fiato scarseggia ma non possiamo mollare, non possiamo fermarci.
Non ci sono luoghi di sosta ed inoltre le pietre delle montagne paiono essere prossime a lasciarsi andare.
La stessa strada del giorno prima, gli stessi sassi, le stesse buche e gli stessi strapiombi, oggi mi paiono meno amici a causa del fatto che mi trovo costretto a ripercorrerla non per scelta.
Quegli infiniti 50 km di salita al passo paiono essere dieci volte di più.
Raggiungiamo la sommità del passo e questa volta, come sempre facciamo a meno che non sia la prima volta, lo superiamo senza fermarci.
Scendiamo a valle, giusto il tempo per un caffè in un bar malandato di un chef point militare ed un sigaro a quota di 4000 metri e filiamo via lisci fino a Leh.
Tanta fatica e siamo dove eravamo il giorno prima.
Faccio benzina avendo cura di riempire anche le taniche di scorta ormai svuotate.
Non posso scordarmi di rifornire di carburante Himma, non troveremo più nulla per 350 km.
Siamo già molto stanchi, ma è come se la tappa di oggi stesse iniziando solo ora.
Ci spostiamo a sud di circa 30 km dove una seconda " strada" parte per raggiungere il Pangong lake.
Non mi aspetto nulla di buono, ma Gisella mi incoraggia dicendo " dai, magari la strada è asfaltata"...
Apprezzo il suo incoraggiamento ma la realtà si mostra sin da subito differente.
La strada si inerpica poco a poco. Un rudimentale cartello ci indica che al Pangong Lake mancano a quel punto 140 km.
La velocità è bassissima ma almeno sono scomparsi i camion militari che nel frattempo avevano dipinto sul nostro volto i segni del Khardung La come i segni dei Marines dopo un combattimento.
Se aver superato il passo più alto al mondo può sembrare un qualcosa di importante, non meno deve esserlo raggiungere e superare il Chang La, ovvero il passo che ci darà diritto di raggiungere il lago dei sogni di Gisella.
Questo passo infatti è si più basso del Khardung La......ma solo di 10 metri....
Un sali e scendi sopra i 5000 come se fossimo sulle giostre di una luna park naturale.
Un insieme di sentimenti e di paure miste a dubbi sulla capacità di Himma di farcela.
Resta però l'incoraggiamento di Gisella sul quale anche lei a breve deve ricredersi, iniziano i guadi.
Prima uno, poi un secondo e così via per un totale di più di dieci.
Il pomeriggio ormai è al termine e le alte temperature hanno fatto si che il livello dell'acqua aumentasse.
Ci immergiamo sino alla sella, Himma ci tira fuori con coraggio ma pare una cucciola che non ha forza.
Il sole tramonta in fretta dietro alle cime altissime che ci circondano ed il fresco del pomeriggio inizia a trasformarsi in freddo.
Il Chang La è davanti a noi, un ghiacciaio imponente pare quasi proteggerci ma nel contempo spaventa per il suo essere così vicino.
Scendiamo e chiedo ad Himma di mettercela tutta, così farò anche io.
La stanchezza e forse le continue variazioni altimetriche si stanno facendo sentire.
Scendiamo a valle, raggiungiamo il check point di ingresso alla valle che porta al lago ed al confine con la Cina.
Da subito ci fanno capire che non vogliono farci passare e la cosa ci spaventa.
Poi comprendiamo che, purtroppo, tutto il mondo è paese e con 200 rupie apriamo i cancelli.....
Altri guadi, altra acqua ed alla fine scorgiamo le montagne riflettersi nello specchio d'acqua del sogno di Gisella.
Accelero, chiedo ad Himma un ultimo sforzo e finalmente siamo sulla riva.
L'acqua è di mille colori, le montagne paiono doppie grazie al loro riflesso su quello specchio di natura.
Raggiungiamo infine un campo tendato, siamo soli.
Il proprietario ci offre da dormire con cena inclusa per totale di 2500 rupie.
La tenda si affaccia al lago, un vento violento la gonfia come fosse la vela di una barca.
Il letto è rudimentale ma per noi sarà il più bello. Quando arrivi in luoghi come questo, comprendi quanto sciocco è scontato sia il nostro modo di vivere quotidiano.
Scopri che se per noi, non avere l'acqua calda è un dramma, per altri è la normalità è quasi ti senti a disagio nell'averglielo fatto notare.
Scopri come una rudimentale gomma in una altrettanto rudimentale tenda sferzata dal vento sarà dove farai la doccia.
Scopri che, nonostante questo dia effetti non desiderati sulla virilità maschile, fare una doccia gelata a 4000 metri ti mette fame e ti toglie la stanchezza.
Quindi, visto che la fame c'è si va a cena.
Il riso, il Dal ovvero una zuppa di ceci piccante ed un po di pane tandori ti ridanno la carica.
E poi viene la notte.
Quel letto che pare essere un tavolaccio con sopra solo un tappeto, il cuscino che pare aver vissuto più lui del sottoscritto, il vento che scuote la tenda e si infila in ogni dove ed infine i cani la fuori che, facendo il loro dovere, abbaiano ogni qualvolta un animale tenti di avvicinarsi alle tende.
Bene......
Se avete avuto il coraggio di viaggiare anche solo un istante con noi, ora avrete due differenti opinioni.
Qualcuno penserà quanto avvincente possa essere una vacanza come questa.
Altri, avranno già prenotato il biglietto per una crociera ....
Ai primi dico, fatelo....fatelo con il coraggio di cercare la gioia e la felicità anche nel cuscino dalle mille vite.
Fatelo perché la doccia gelata ha effetti negativi sulla virilità maschile solo temporanei.
Fatelo perché in questo preciso istante Gisella ed io siamo felici così !
Non vorremmo altro, non avremmo necessità di altro.
Fatelo senza cercare la conquista, senza cercare il diverso in giro per il mondo e sopratutto senza guardare gli altri dall'alto come spesso siamo abituati a fare.
Noi domani ripartiremo, cercheremo altre strade dove respirare, altra polvere da masticare, altri visi da osservare e dai quali imparare che per regalare un sorriso, non serve nulla, ma proprio nulla, solo ed esclusivamente la voglia di donarlo.
Meglio ancora se impolverato !


















Khardung La.....the King

Nonostante i 3200 metri di altitudine, questo mattino assolato di Leh ci accoglie con una temperatura primaverile.
La giornata di oggi 4 agosto, sarà una preparazione alla salita di domani verso il passo più alto al mondo, nel contempo avremo da dedicarci alla cura della moto la quale, a causa delle strade dissestate, mostra evidenti segni di affaticamento.
I porta borse laterali, ovvero quella sorta di cestelli metallici dei quali tutte le moto in India sono dotati, hanno perso parte dei fissaggi con il rischio quindi di perdere i bagagli ma ancora di più l'equilibrio nel caso si staccassero.
Partiamo quindi per un tour di Leh alla ricerca di qualcosa che aiuti il mio istinto da fai da te ad elaborare qualche congnegno per riparare la moto, in altre parole mi basterebbero due bulloni da 6 mm, cosa questa diffusissima in Italia.
Gisella si perde fra le vie colorate di Leh, immergendosi in una atmosfera di altri tempi e di altri mondi alla ricerca di piccoli ricordi materiali da riporre nei meandri di casa disseminati di immagini di luoghi lontani.
Io invece mi infilo in tutte le botteghe le quali abbiano una parvenza di ferramenta, ma l'impressione che provo ad entrare dentro questi luoghi mi porta talmente indietro nel tempo tanto che la mia memoria si ferma al punto zero della mia infanzia, forse dovrei aver vissuto secoli per ricordare ambienti simili.
Non trovo nulla, salvo un bullone da 8 millimetri, e due fascette metalliche a vite.
Mi farò bastare questo e, contento del mio bottino costatomi 200 rupie, l'equivalente di circa due euro, mi metto alla ricerca di Gisella.
La giornata trascorre mentre all'ombra di un pioppo il quale, nonostante l'altitudine è verdissimo e rilascia i tipici batuffoli del fiorire primaverile, mi accingo a sistemare Himma.
Non ho attrezzi, salvo un coltellino svizzero che utilizzo per allargare il foro dei portaborse.
Con l'aiuto di un ramo lungo un paio di metri e Gisella appesa all'estremità opposta, facciamo leva sul metallo sino a riuscire nell'allineare i due fori.
Infilo con forza il bullone e, nonostante il fiato si sia fatto corto per gli sforzi, siamo felici.
La notte scende e il mattino dopo saliremo su quel punto, infinitesimamente piccolo ma profondamente grande per noi, il passo più alto al mondo, il Khardung La.
Ci alziamo presto, anche perché l'agitazione della notte ha reso quasi impossibile il sonno.
Carichiamo Himma come sempre, per ultimo alloggio le taniche di benzina di scorta e poi mi soffermo a guardare quel povero ammasso di metallo ricoperto da borse pesanti.
Mi chiedo come potrà trascinare il proprio peso ed il nostro sino lassù.
Smetto di chiedermelo in fretta però, una sola domanda ha mille risposte se prima non provi ! 
Per questo quindi, ingraniamo la prima marcia e partiamo.
La salita, sin da subito, si fa difficile.
La strada è uno sterrato di quelli che non danno confidenza, si viaggia per lo più zigzagando nel cercare di far roteare le ruote nei punti meno accidentati ma un intenso traffico ci avvolge e ci inghiotte.
Centinaia di camion militari, sbuffanti ed ansimanti, salgono e scendono come formiche impazzite.
Occupano tutta la carreggiata, ci costringono a manovre sul bordo della "strada" che tanto strada non è. 
Noi da parte nostra dobbiamo anche occuparci del nostro corpo e vigilare su di esso alla ricerca di elementi di allarme che ci indichino un possibile malessere.
Stiamo bene e proseguiamo, metro dopo metro, sobbalzo dopo sobbalzo, utilizzando perlopiù la prima marcia in quanto, inserendo la seconda, Himma pare soffocare.
L'altimetro del mio orologio indica che abbiamo superato i 5000 metri, manca poco apparentemente, anche se in realtà quegli ultimi trecento metri durano una vita.
Raggiungiamo la cima, siamo felici ma anche avvolti da una miriade di persone che smuove in noi il desiderio di solitudine.
Non perdiamo quindi molto tempo nel goderci il momento anche perché le condizioni di salute, ottime sino a quel momento potrebbero cambiare.
Siamo sul punto più alto carrozzabile al mondo, ci siamo arrivati da soli, in moto, con soli 24.5 cavalli di potenza ma con una voglia di farcela che neppure un motore da corsa avrebbe potuto scalfire.
Ci guardiamo intorno, le montagne attorno a noi sono come grattacieli di Manhattan ma questi li ha creati la natura. 
I nostri sguardi si incrociano, i sorrisi sbocciano, è ora di scendere.
Puntiamo la moto dritta verso la discesa verso la valle opposta, la Nubra valley.
Himma ringrazia, la pendenza ormai a suo favore e la gravità la fanno persino sembrare una moto con il carattere da combattente, peccato si difenda bene solo in discesa.
La strada resta molto difficile ma addosso abbiamo l'adrenalina di chi ha appena conquistato un sogno.
Scendiamo a valle, siamo a 4200 metri, sono esausto ma questo non mi toglie il desiderio di godermi una sana boccata di ossigeno.
Mi accendo quindi il mio secondo sigaro della giornata. In quota, anche per evitare l'immancabile è corretto cazziatone, non l'ho acceso.
La Nubra valle si estende per km con panorami che ci distraggono sin troppo.
Fatico a tenere gli occhi sulla strada, mi affido agli occhi di Gisella la quale come un giornalista sportivo mi dettaglia in forma di telecronaca le cose più esaltanti.
Arriviamo alla fine della valle, troviamo un campo tendato per la notte.
Parcheggio la moto, rimuovo i bagagli, controllo i vari staffaggi di fortuna è con soddisfazione noto che tutto ha tenuto.
Noi stiamo bene, siamo stanchi ma seppure provati esteriormente, ci sentiamo bene.
La notte scende e l'ultimo saluto va a noi, a chi ce la mette tutta e quando appoggia il capo su un cuscino anche un po' sudicio, non ne ha proprio più. 
Il fiato si rilassa, il cuore batte più lentamente e le ultima parole che ho la forza di emettere sono una domanda per Gisella: domani ? Dove andremo ?
Ho tardato troppo ad emetterle, lei è già partita verso quel mondo che ad occhi chiusi ti permette di rivedere con calma ciò che durante il giorno hai solo sfiorato.
Sorrido e mi spengo anche io,
Non ha importanza dove andrò domani, è importante solo con quale spirito percorrerò quelle strade, con quale sorriso affronterò le mille insidie e, non ultimo, quanta importanza darò ad ogni singolo metro che per noi, è respiro, è vita !
























3 ago 2017

Tutto, proprio tutto, solo per un istante.

È mattina presto a Manali quando lasciamo l'hotel e scendiamo per salire in groppa alla nostra moto debitamente caricata la sera prima.
Il cielo è nuvolo, una bassa nebbia avvolge le montagne attorno al paese ed all'orizzonte in direzione del Rothang pass, un cielo nero il quale sembra la lavagna della mia scuola elementare ci attende.
Verrebbe voglia di disegnarci sopra un sole ed un cielo azzurro ma questi sono ricordi di un bambino cresciuto, ora possiamo sono affrontare la realtà è sorridere a tutto.
Avvio la moto, Gisella si accomoda dietro come sempre e, come sempre cita la frase che anni fa diede l'inizio ad un libro " ok puoi andare".
Attraversiamo le caotiche stradine di Manali alla ricerca della cosiddetta highway per il Rothang.
Le strade già invase dal fango generatosi dalle pioggia notturne mi danno la sveglia e mi parlano in anticipo di quello che sarà il mio guidare quotidiano.
Troviamo finalmente il bivio, una stretta e ripida salita asfaltata si lancia verso l'alto. 
Pensiamo di essere sulla strada giusta e quindi procediamo.
In assenza di indicazioni stradali occorre affidarsi all'istinto e forse, per questo, sulla moto che istante dopo istante iniziamo a conoscere, chi l'ha costruita ha pensato di aggiungere un importante optional.
Sulle nostre moto, ovvero quelle che abitualmente siamo abituati a condurre c'è ogni sorta di aggeggio tecnologico, dal navigatore, passando per la presa USB per scaricare i dati, sino ad arrivare al cruise control. 
Su Himma, una Royal Enfield, i progettisti hanno invece deciso di installare una bussola.....
Che cazzata penso io, poi ripenso al viaggio in Mongolia dove grazie alla bussola fummo in grado di tornare a casa, è da quel pensiero apprezzo l'optional.
Continuiamo a salire e ad un tratto avverto delle gocce d'acqua sul viso.
Chiedo conferma a Gisella per sicurezza, " secondo te piove ?".
Lei, dotata di ottimismo che talvolta cerca di stravolgere la realtà mi risponde " no, è l'umidità della nebbia".
Cinque minuti dopo, grazie ai famosi parachute caffè,ovvero una sorta di bar costruito sotto una baracca di pietre, legno e come copertura un telo che in origine era il paracadute recuperato dai militari inglesi dopo la guerra, siamo al riparo di una pioggia torrenziale con in mano il Masala, un tè con latte, cardamomo e pepe....
La nebbia di Gisella aveva deciso di trasformarsi in pioggia di Gianni. 
Siamo bagnati fradici e siamo diretti a 4000 metri di altitudine, un connubio non proprio auspicato.
Stiamo per circa un ora fermi in compagnia di una vecchietta che con in braccio un bimbo di qualche mese, incurante della pioggia, cerca di scopare il dehor del " bar " con una rudimentale scopa.
Quando la pioggia cala, ma non cessa, decidiamo di ripartire indossando le tute da pioggia sugli ormai zuppi vestiti con i quali eravamo partiti.
La strada diventa sterrata ed il fango è ovunque.
I camion indiani viaggiano sfrecciando in ogni senso di marcia, ci segnalano il loro arrivo con un frastornante colpo di clacson poi....sta a noi toglierci....loro non mollano.
Questa è la legge della foresta stradale indiana.
Il clacson salva la vita, il più grosso vince, il più piccolo deve cercare riparo fuori dal, già di suo, terribile nastro di pista chiamato strada.
Ecco quindi che in poco tempo Himma ed io diventiamo amici e scopro quanto sia brava del rifugiarsi sulla riva scoscesa della montagna o nel tuffarsi dentro ad un guado.
Un camion in senso opposto ci incrocia là dove non vi è fisicamente spazio per tutti e due.
Io punto la la moto verso sinistra dove la montagna sale, Himma si inerpica ma poi scivola con la ruota posteriore e il culo della moto scende verso valle lasciandoci appesi al manubrio, il camion passa, ci suona ma noi siamo bloccati. Il muso del camion ci sfiora ma la parte posteriore, più larga ci colpisce la borsa di destra. Sentiamo la moto scuotersi e siamo già pronti a saltare immaginando se la borsa dovesse mai restare agganciata al camion.
La fortuna ci aiuta e tolto un gran spavento e qualche graffio sulla borsa non accade nulla di più.
Raggiungiamo il passo, un 4000 che rispetto a quelli in previsione per i km a venire è poco più di un allenamento.
Un paio di foto per immortalare il momento, un abbraccio con due monaci tibetani in attesa di chissà cosa sotto una pioggia battente e ripartiamo tuffandoci verso valle.
Seguiamo il flusso dell'acqua che come un torrente riempie la strada.
Nelle nostre previsioni del mattino, saremmo dovuti arrivare a Sarchu, ma dopo 12 ore di guida nel fango e centinaia di camion sfiorati guardiamo l'ora e notiamo che sono già le 17 del pomeriggio.
Abbiamo percorso appena 140 km, siamo stanchissimi e bagnatissimi.
Ci troviamo a fondo valle, a "bassa quota " per queste zone.
Notiamo un campo tendato e decidiamo di passare li la notte.
La tenda, seppur spartana, ci sembra pulita.
Scarichiamo i bagagli, compreso le taniche di benzina di scorta e riponiamo tutto in tenda.
La benzina da queste parti è un bene raro visto che il rifornimento più vicino si trova a 375 km.
Ceniamo nel campo tendato, siamo gli unici ospiti.
Gli uomini del campo, le donne paiono non esserci in India, ci preparano un po di pane tandori ed una zuppa di gallina uccisa poco prima facendoci vedere se poteva andare bene.
Terminata la cena, entriamo in tenda esausti, il freddo è pungente e noi adagiamo il nostro sacco a pelo sotto le enormi coperte che ci hanno fornito.
Sollevando una di queste, un ragno grande come il mio pugno inizia a correre, forse disturbato dall'improvvisa luce e dagli sgraditi ospiti, ovvero noi.
Conoscendo la famosa fobia di Gisella per i ragni, mi scaglio sul padrone di casa e lo uccido con una manata nella speranza di non essere notato.
Gisella invece lo vede, mi guarda, mi chiede se fosse morto dopodiché, come se quel ragno fosse l'unico presente in tutta l'India, si complimenta e mi dice " ok ora dormiamo siamo stanchi".
Il freddo della notte a 3200 metri non ci sfiora sotto quelle coperte di lana di pecora e zampe di ragno, così al mattino siamo riposati e possiamo ripartire, obiettivo: altri tre passi, uno dei quali posto a 5200 metri di altitudine, per poi raggiungere Leh la cittadina cuore del buddismo in Ladakh a più di 340 km di distanza.
Salgo sulla moto determinato a raggiungerla, ma conscio che non sarebbe stato facile.
Ma come sempre dico, mai mollare e qualsiasi cosa succeda, sarà comunque una esperienza da gustare senza il rammarico di non aver adempiuto al progetto iniziale.
Non piove più, ma la temperatura è bassa.
Il freddo scalfisce i nostri volti avvolti solo in parte dai caschi che per l'occasione abbiamo deciso fossero aperti davanti.
Chissà cosa ci spinse a decidere per quel modello, chissà quale pensiero malsano ci pervase quel giorno visto che, per andare alle Canarie l'anno prima utilizzammo caschi integrali ovvero chiusi, e per andare in Himalaya invece....caschi da riviera ligure.....
La strada è pessima, sappiamo che avremmo incontrato dei guadi, 3 per l'esattezza.
Come sempre sono spaventato all'idea di immergere Himma, Gisella e me stesso dentro l'acqua.
In particolare quest'acqua scura, tumultuosa, tipicamente l'acqua che arriva dai ghiacciai zeppa di rocce e apparentemente nemica.
Di guadi ne abbiamo fatti tanti in passato, in Islanda, in centro America, in Mongolia, ma ogni volta il cuore mi batte forte.
Dopo circa 70 km di strada......tecnicamente definibile una merda....arriviamo al primo guado.
Sono impaurito ma nel contempo confido su Himma.
Gisella scende ed io ,senza indugi , ingrano la prima e parto.
La ruota davanti si immerge ed io sento l'acqua arrivarmi alle ginocchia.
La cosa più sbagliata da fare è fermarsi, quindi accelero, la moto si scuote a causa delle rocce nascoste sotto la melma grigiastra e a causa della corrente del torrente che scende vorticosa dalla montagna.
Sono in qualche misura onorato di avere sotto di me il frutto di un ghiaccio millenario, che giace a 8000 metri ed infine regala la vita a milioni di persone diventato acqua.
Detto ciò farei volentieri a meno di esserci immerso dentro.
Supero il guado e mi sento forte. Accarezzo Himma e corro incontro a Gisella la quale, immersa anche lei fino alle ginocchia, cerca di vincere la corrente mettendo un passo davanti all'altro.
Risaliamo in moto, e pochi km dopo un secondo guado ci attende.
Carico di adrenalina e forte dei complimenti ricevuti, non faccio più scendere Gisella e neppure mi fermo un attimo per analizzare la miglior traiettoria da compiere, mi immergo e basta.
Prima marcia dentro, acceleratore in mano e via !!
Sono al settimo cielo anche se marcio di acqua sino ai gioielli di famiglia.
I km si susseguono e superiamo anche il terzo ed ultimo guado.
Il cielo diventa parzialmente terso e si scorgono le cime delle montagne che ci circondano.
Noi siamo a 4200 metri di altitudine e le montagne attorno a noi ci appaiono come se, nelle nostre valli a 1000 metri di altitudine, osservassimo il Mon Viso. 
Credo quindi che siano cime altissime, quelle cime delle quali il libro letto da bambino narrava.
La strada sale verso il passo a 5200 metri, non sarà il più alto che affronteremo in questo viaggio ma è comunque una altitudine alla quale non siamo abituati, per questo portiamo rispetto.
Beviamo tanto per combattere la disidratazione che a queste altitudine ti coglie nonostante il freddo.
La carenza di ossigeno genera effetti pericolosi e noi dobbiamo cercare di evitarli o perlomeno avvertirli in tempo.
Mano mano che saliamo iniziamo ad avere forti mal di testa, il fiato si fa corto e ci rendiamo conto che iniziamo ad avvertire il male di montagna.
Himma da parte sua inizia ad avere chiari segni di impoverimento delle prestazioni, già di suo non proprio esaltanti...
Arriviamo in cima, un vento gelido ci taglia gli occhi, scaglie di ghiaccio ci perforano la faccia.
Fatichiamo a camminare e a respirare bene, ma scendiamo comunque dalla moto per una foto veloce.
Chissà se la moto ripartirà, penso io mentre Gisella mi scatta una foto.
Inizio a sentire una gra senso di nausea, nonostante non mangi nulla dalla sera prima ho paura di vomitare. Per fortuna avendo il casco versione Riviera ligure, dovesse succedere, non riempirei il casco.
Occorre scendere più in fretta possibile, occorre scappare per rimettere il nostro corpo in condizioni di sicurezza.
Himma riparte e noi, nonostante la testa pulsi come se il cervello voglia uscire, ingraniamo le marce e ci  tuffiamo a valle.
Fatichiamo a renderci conto della meraviglia che ci circonda. 
Le montagne cambiano colore ad ogni chilometro e siamo senza fiato forse più per questa magnificenza che per la carenza d'ossigeno.
Il Ladakh ha in serbo per noi una sceneggiatura naturale che rapisce gli occhi e la mente.
Pare essere gelosa della sua bellezza anche perché, costringendo la gente a viaggiare veloci per sfuggire all'altitudine, possiamo solo ammirarla di sfuggita, senza potersi fermare neppure un secondo per rapirne una fermo immagine.
Arriviamo a quota 4000 metri ed il nostro corpo inizia a riprendersi.
La testa duole ancora tanto ma riusciamo a respirare ad anche il senso di nausea svanisce.
Mancano ormai sol più 70 km a Leh, la strada finalmente diventa asfaltata è da modo a Gisella, al sottoscritto e pure ad Himma di rilassare le membra viaggiando come se fossimo sui colli alpini di casa nostra.
Arriviamo a Leh 3200 metri di altitudine, praticamente al mare.... da dove ora vi scrivo all'ombra di un monastero tibetano.
Non c'è modo di telefonare, non c'è modo di collegarsi ad internet e tutto ciò, per un secondo ci deprime un po.
Poi osservo la gente che vive in questi luoghi i quali, in inverno scendono a -30 gradi di temperatura.
Vivono con scorte di cibo per due anni, così da poter sopravvivere in qualsiasi condizione.
Vivono di poco, ma vivono sorridenti e felici.
Non dico sia facile, non dico che vorrei fare cambio con la mia vita, ma dico....e non lo dico io bensì lo dicono i fatti, che vivono !
Oggi resteremo fermi a Leh, sia per acclimatarci ancora in previsione della tappa di domani, dove salire al 5600 metri di altitudine per superare il passo carrozzabile più alto al mondo, sia per metabolizzare i sorrisi e la pace interiore che questi luoghi e queste persone sono in grado di trasmettere.
Domani ripartiremo, ingraneremo la prima marcia e sarà ancora viaggio, sarà ancora scoperta di questo mondo che si lascia scoprire ed ammirare solo da chi ha il coraggio di mettere in gioco tutto, persino se stessi se necessario.
Salire lassù, dove la felicità è un respiro pieno di ossigeno, dove tutto ciò che conta è imparare a sentire se stessi, comprenderne la forza e sopratutto le debolezze.
Saliremo lassù in cerca del punto più alto grazie al quale lanciare un pensiero al mondo di sotto, un pensiero di amicizia, un sorriso senza secondi fini ed un abbraccio stretto come le montagne attorno a noi sanno fare.
Saliremo lassù per restarvi forse solo un istante, quell'istante che vale un viaggio, vale una sfida, vale forse la vita.















1 ago 2017

Just Crazy.....Just Married

La sveglia suona presta in questa camera di hotel di Manali.
Sono tante le cose che abbiamo da fare, e nessuna di questa sarà forse facile trovandoci in un luogo per noi sconosciuto.
Ci alziamo e separando le tende che oscurano la luce della finestra, guardiamo fuori con la speranza di non vedere più la pioggia torrenziale che ci ha accolti ieri sera.
Sorridiamo nello scorgere alcuni raggi di sole nonostante le nuvole fungano da cappello alle montagne attorno alla città.
Siamo riposati, abbiamo voglia di uscire e scoprire il mondo.
Ci vestiamo in fretta e percorriamo le scale che separano il terzo piano, dove si trova la nostra stanza....la numero 313 che tanto mi ricorda la targa della macchina di paperino, dal piano terra.
Usciamo in strada ed i mille suoni di clacson, il frastuono di un mondo che pare mai fermarsi ci fagocitano all'istante.
Prendiamo un tuk-tuk il tipico taxi cittadino indiano, una sorta di ape della Piaggio.
Con 100 rupie raggiungiamo il centro alla ricerca del concessionario dove ad aspettarci, a dire il vero già da ieri, c'è Himma la nostra moto.
Il mondo là fuori gira vorticoso ed è impossibile persino chiedere una indicazione stradale.
Ci colleghiamo ad internet con il telefono e scopriamo di essere a 3 km dal concessionario quando, stando alle indicazioni ricevute, avremmo dovuto esserci di fronte.
Nuovo tuk-tuk, altre 100 rupie e finalmente arriviamo da lei.
Ci sta aspettando, pronta per aiutarci e sorreggerci in questo nuovo viaggio.
Effettuiamo le attività necessarie per il ritiro, moduli da compilare, fotocopie dei documenti, ecc 
Finalmente giro la chiave del cruscotto, avvio il motore e noi tre, tutti insieme ci dirigiamo verso il nostro hotel.
La moto c'è, i bagagli sono pronti, il Rothang pass ( ovvero il primo dei tanti passi che cercheremo di fare ) è chiuso e non verrà aperto sino a domani.
Sono le ore 12, abbiamo mezza giornata libera......che fare ?
Beh, mille sarebbero le cose da fare, che so....visto che siamo stanchi, riposarci. 
Oppure passare il tempo ad acquistare oggetti che ci ricordino un giorno il nostro vivere vagabondo in India.
Oppure qualcosa di più intenso, qualcosa di solo nostro, che sia più di un ricordo ma nel contempo non sia nulla di materiale.
Che so quindi.....per esempio questo:
Accompagnati da Tushar, un simpatico indiano, ci rechiamo nel tempio Induista di Manali ( Hadimba ) ci togliamo le scarpe e le calze nonostante il fango e mille altre cose che preferisco non citare.
Entriamo in quel luogo sacro, colmo di misticismo mischiato a fumi di incenso, ci sediamo in terra a pensare o forse pregare.
Usciamo da quel luogo sentendoci più vicini alla terra, più uomo negli uomini e non, come a volte accade, un gradino sopra gli altri.
Seguiamo Tushar sino al negozio di abiti, dove per Gisella viene confezionato in due ore uno sgargiante abito Indiano di colore blu, azzurro e bianco, mentre per me cade a pennello un abito completamente bianco. mentre ci guardiamo sorriddiamo della bellezza senza fine che un po di pazzia ti da.
Guardandoci l'un l'altro come fossimo extraterrestri mentre altro non siamo che esseri tutti uguali solo vestiti in modo differente, mi sento toccare la spalla da Tushar, il quale mi invita ad indossare il tipico copricapo che gli uomini, tutti, indossano per l'occasione.
Una sorta di turbante color crema, con spille dorate e piumaggi da ornamento.
Allo specchio mi ricorda quando da bambino, a carnevale, mi vestivo da Sandokan, ma ora bambino non sono anche se forse non tutto di me è cresciuto e magari poco è invecchiato. Solo ciò che si vede da fuori, magari per non dare nell'occhio, ma dentro sono ancora Sandokan....
A Gisella invece viene coperto il capo con una stola bianca la quale, cadendo sulle spalle, la rende simile alle immagini mariane del nostro mondo. Per me invece è bella e mi ricorda la prima volta, in Iran, quando la vidi uscire dalla camera e la chiamai Jasmine...
Camminiamo scalzi per Manali, attraversando le corti che danno l'accesso al terrazzo dove è stato allestito per noi una sorta di altare in stile Indù. 
Il pavimento è gelido, i piedi si gelano di conseguenza.
Ci avviciniamo all'altare dove un sacerdote indù accende per noi mille incensi.
Ci invita a sederci a fianco del piccolo fuoco acceso in terra, si sporca le mani con terra rossa dopodiché ci spalma sul viso quell'intruglio.
Come se non bastasse, ci invita a seguire le sue gesta, bevendo dell'acqua posta dentro un piccolo catino metallico, lanciando petali di rose ed infine.......giungendo le mani prega.
Una preghiera incomprensibile, ma non più di quanto non lo siano mille prediche e preghiere sentite nel mio mondo.
Il fumo del fuoco misto a quello degli incensi ci avvolge, quasi a volerci unire.
Siamo insieme Gisella ed io, siamo qui perché lo desideriamo così come essere insieme è un desiderato.
Sono mille i posti che ci hanno visto transitare insieme, è da ognuno di loro abbiamo portato a casa un ricordo e forse qualche mercanzia.
Da Manali porteremo via la consapevolezza di esserci, di esserci stati e di aver, anche solo per un pomeriggio, anche solo per una forma di coscienza puramente personale che nessun risvolto di obbligo morale possiede, detto si l'uno di fronte all'altro.
Un sì che sa di buono, non pre costruito, nessun obbligo, nessuna bomboniera, lista nozze, partecipazioni, parrucchiere, fioraio o scarpe da acquistare......anzi.....
Un si che null'altro è se non un sorriso profondo, uno sguardo che va lontano come cercheremo di fare noi a partire da domani mattina quando, con le scarpe ai piedi.....partiremo finalmente in moto.
Quindi.....direte voi, era un matrimonio ?
In un certo senso lo è stato, ma nostro, solo nostro.
A dire il vero c'era gente attorno a noi, ma non so chi fossero e neppure loro sanno chi io sia.
Di certo erano persone come me, come voi.
Di certo erano volti che sorridevano.
Di certo, come dico da tempo, erano amici che non avevo ancora incontrato, per questo forse ....sono venuti al nostro matrimonio.
Sono le 21 in Italia, più di mezzanotte qui a Manali.
Sono un po stanco, sarà la giornata intensa che mi ha rubato le energie.
Ripenso al primo post di questo blog, dove qualcuno ( anzi molti ) continuano a dire che forse siamo un po pazzi.
Ho speso una parte della mia vita a dire che non era vero, ma credo inutilmente.
Sebbene pazzo per me non è altro che un termine, forse essere pazzi a questo mondo significa uscire dagli schemi e fare, nel limite del possibile, ciò che ti piace senza curarti del pensiero altrui.
Se così è .......siamo dei pazzi.

Buonanotte mondo,
Buonanotte Jasmine.






Un penny per un volo

Mai partire senza aver organizzato tutto nei minimi particolari, leggemmo un giorno Gisella ed io su di un libro il quale autore è un famoso viaggiatore.
Per questo, anche se la nostra indole è sicuramente più avvezza all'improvvisazione, abbiamo cercato di essere un po' meno discoli ed un po più previdenti.
Grazie a quelle parole del libro quindi, in viaggi dove occorra necessariamente affidarsi ad altri, come per esempio per i trasferimenti in aereo, scatta la sindrome della pianificazione micrometrica la quale spesso ha origine mesi prima della partenza.
Per questo viaggio, dovendoci spostare di molto ed in breve tempo, abbiamo ( cioè io no, ma ho dovuto soccombere al volere altrui ) deciso di utilizzare il sempre comodo, veloce, puntuale ed affidabile mezzo aereo......
Mesi or sono quindi, cartina alla mano, collegamenti internet di svariata origine e forma, Gisella ha estratto le varie possibilità.
Tutte convergevano nel tragitto aereo fino a Delhi via Dubai. 
Il dubbio era come spostarsi da Delhi sino a Manali dove ci troviamo ora, ovvero lunedi 31 Luglio ore 22.00.
La prima ipotesi era di noleggiare la moto a Delhi e viaggiare via strada sino a Manali.
Ipotesi questa scartata in fretta in quanto le strade non particolarmente belle ed il traffico intenso avrebbero trasformato quei 900 chilometri in 3 giorni di viaggio. 
Tempo perso, ci dicemmo.
La seconda ipotesi, avanzata anche per accontentare il sottoscritto e farmi evitare un temibile è terribile volo interno, su bimotore a elica della Air India.....era di prendere un taxi a Delhi e viaggiare seduti in auto. Ipotesi che venne scartata a causa della pericolosità del viaggiare in auto con alla guida un autoctono e per via del tempo necessario.
La terza ipotesi, quella che io non avrei mai voluto sentir citare, prevedeva invece di salire su uno splendido uccello volante, dotato di due motori ad elica, la carlinga di colore bianco e rosso e sul timone posteriore una scritta a ricordare il marchio di fabbrica Air India.
Arriva il 30 luglio, sono le 6 del mattino, e noi partiamo con i nostri bagagli e le nostre pianificazioni alla volta della Malpensa.
Saliamo sul nostro aereo con sentimenti differenti, Gisella entusiasta come una bimba alle giostre, io come uno che sale al patibolo, sguardo atterrito, energie allo stremo, respiro affannato.
Incredibilmente, atterriamo a Dubai vivi. Dico incredibilmente perché per me è sempre una sorpresa atterrare e scoprire che la mia certezza di morire in volo, altro non era che suggestione.
Questa gioia da sopravvissuto dura meno di due ore, il tempo di risalire sul secondo volo che ci porta a Delhi. 
Arriviamo a destinazione,alle ore 2.50 del mattino,  stesso stupore di qualche ora prima e stesso senso di angoscia nel sapere che dovremo ripartire da lì a poco con un ferro vecchio targato Air India.
Ci rechiamo al gate 42 dove il catafalco è pronto a caricarci.
La voce degli altoparlanti però ci comunica che il nostro volo, causa forti monsoni è posticipato di un ora...... Se avessi potuto, sarei scappato !!!
Attendo quell'ora come uno che non solo si reca al patibolo, bensì lo fa passando prima per la ghigliottina così da essere davvero certo di morire.
Passa un ora, e la voce trasmette nuovamente il messaggio posticipando ancora il volo.
Guardo Gisella e vedo che lei è serena mentre io...........ma che ve lo dico a fare, tanto date ragione a lei !
Fumo, come quella sigaretta data al condannato a morte, quella che ha un gusto sublime mentre attendo l'ennesimo annuncio. 
Questo non tarda ad arrivare, ma al posto di posticipare ancora, il maledetto volo viene annullato, troppo pericoloso.
In cuor mio esulto, sono vivo !!! Quello di prima non era l'ultimo sigaro....
Gisella ed io ci guardiamo un po' spaesati, in effetti siamo a 900 km da dove dovremmo essere, senza bagagli, senza aereo, senza taxi. 
In compenso a 900 km abbiamo una camera di hotel che ci aspetta, una moto prenotata, e mille sogni da realizzare.
Ci rechiamo all'ufficio informazioni e questi, malinconicamente, ci danno alcune scelte: rimborso del biglietto.......riprogrammazione per domani, oppure viaggio in bus.....16 ore....
Gisella, che non sbaglia un colpo in geografia, ricorda il nome di un paese ( il quale ha un aeroporto che pare essere più un campo da bocce che una pista di atterraggio ) a circa 200 km da Manali.
Quindi chiede se il biglietto può essere convertito su quella tratta.
Acconsentono, ma ci sono solo 4 posti liberi, e mentre noi discutevamo altre due coppie, una israeliana e la seconda inglese, si sono avvicinate a noi ed alla idea di Gisella.
Quindi riassumendo, 4 posti e 6 persone, ergo due persone di troppo.
Fra me penso di avere ancora delle opportunità di salvarmi, sino a quando l'inglese mi guarda e con aria di sfida mi dice " tiriamo a sorte con una monetina noi due"....
Nel tentare la sorte non sono molto fortunato.......infatti su quel l'aereo ci siamo saliti Gisella ed io, in altre parole avrei vinto, ma in cuor mio ho perso.
Il volo dovrebbe durare un ora, ma a causa dei monsoni, i quali comunque imperversano anche a 200 km da Manali, sto maledetto pezzo di latta volante sta in aria per più di due ore.
Quando finalmente arriviamo a destinazione, non dopo mille scossoni e vuoti d'aria che hanno fatto uscire il mio essere cagasotto, occorre nuovamente ripianificare.
Siamo a 200 km da Manali, prendiamo un taxi, lo dividiamo con gli israeliani, pagheremo poco ed arriveremo in un paio d'ore..... Tutto questo accadeva alle ore 12.00 di lunedì 31 luglio.
12 ore dopo, entriamo nell'hotel dal quale vi scrivo, prendo in mano il computer sul quale vi scrivo, e cerco di trasferire anche solo un istante di quei 200 km, ipotizzati in 2 ore compiuti in 12.
L'India è un clacson.
L'India è un sorpasso contromano.
L'India è un viaggiare seduti dove l'ultimo dosso ha deciso di farti atterrare sino a quando quello successivo ti farà nuovamente decollare.
L'India è diversa da come io vedo il mio mondo, ma forse proprio per questo amo scoprire.
L'India è quel luogo che ti invade a partire dal senso dell'olfatto.
L'India è ciò per cui avevamo pianificato tanto.
L'India è un monsone, grazie al quale scopri quanto alla fine sia bello volare su un catafalco dell'Air India piuttosto di sobbalzare su un taxi.
L'India è ciò che abbiamo appena iniziato a scoprire, il resto è lì che ci aspetta.
Mai pensare di aver pianificato tutto, un bel giorno potresti trovarti a lanciare una moneta per aria con un inglese che ti sfida.
Mai pensare di aver vinto solo perché la faccia della moneta indica la tua scelta, quello .......è solo l'inizio !
Manali, 31 agosto Agosto.
Auguri ad Elena.

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L'India è una sorpresa !