Erano circa le 15
del pomeriggio, di un luglio reso umido ed appiccicaticcio dall’arsura di quell’aria
inesistente che, immobile, ti spinge a dosare le forze anche solo nello stare
fermo.
Quel ragazzino, all’ombra
di una vite avvinghiata alla recinzione che divide il cortile della casa dei
suoi genitori con quella dei vicini, è seduto su una sedia a sdraio in attesa
che il sole diventi meno aggressivo e lui possa tornare a riempire la sua
giornata di vacanza con i suoi giochi preferiti.
Di norma la
bicicletta ed il pallone, rigorosamente scagliato verso il cancello che fungeva
da rete, ma come tutti i campioncini, talvolta la traiettoria del pallone prendeva
direzioni differenti investendo con la sua furia le rose della mamma.
Lui è la, in
pantaloncini corti, maglietta della sua squadra del cuore indosso, scarpette da
calcio rigorosamente legate con le stringhe avvolte su se stesse per due volte,
insomma sarebbe pronto per dare il calcio di inizio.
Ma il caldo e non
ultimo, o forse si…ultimo, i compiti delle vacanze, lo costringono ad una pausa
forzata ed alla lettura di un libro sul quale, poi, dovrà ricostruirne le
tracce nel fatidico e sempre traumatico riassunto del libro delle vacanze.
La scelta del
libro era libera e siccome il ragazzino tutto avrebbe voluto fare tranne che
immobilizzare se stesso e concentrarsi nella lettura, la sua mamma gli
consigliò un qualcosa che magari avrebbe potuto risvegliare in lui la giusta
voglia di leggere.
Gli venne
consegnato un tomo che ai suoi occhi appariva ingestibile ed eterno, centinaia
di pagine da leggere, scritte in piccolo, ma per fortuna, anche qualche
immagine.
Sulla copertina c’era
la foto di un uomo, vestito con giacca a vento, cappello in testa, il cappuccio
della giacca a coprire ulteriormente il capo e le mani erano nascoste da guanti
giganti. Lui, leggermente chino su se stesso è in piedi, alle sue spalle il
vuoto e sotto i suoi piedi la cime di una delle montagne più alte al mondo, il
Nanga Parbat, o meglio conosciuta la montagna assassina.
Quell’uomo, che
divenne il mio mito da li a poco, è Reinhold Messner e quel libro narra della
sua scalata in solitaria dopo che anni prima, sulle stesse pareti, vide morire
suo fratello.
Quel ragazzino,
aprì il libro ed iniziò a guardare le immagini frutto delle foto dell’alpinista.
Erano immagini
spettacolari, toglievano il fiato e nel contempo avevano la capacità di
annullare persino l’arsura di quel pomeriggio di luglio.
Il ragazzino
leggeva quelle parole intanto che con la mente già viaggiava. Scoprì che quelle
foto erano state fatte da Reinhold scegliendo i passaggi più tecnici e
difficili. Per riuscirvi, il pazzo alpinista, era costretto a percorrere tre
volte lo stesso passaggio. La prima volta per comprendere se fosse possibile,
una seconda volta per farsi immortalare dall’autoscatto della sua macchina
fotografica, una terza ed ultima volta per recuperare la macchina stessa.
Il ragazzino
faticava a leggere senza fermarsi e senza riflettere sulla grandezza di un gesto
simile. In solitaria, senza nessuno, senza ossigeno, solo con se stesso e con
la propria forza di volontà che talvolta, solo talvolta, pare abbandonarlo.
Le pagine
scorrono veloci e quasi la bicicletta ed il pallone sono passati in secondo
piano.
Dalla stanza dove
la mamma del ragazzino è intenta a cucire, cosa che fa di mestiere in quanto
sarta, la radio di quegli anni lancia una canzone che fa così:
In un mondo che
Non ci vuole più
Il mio canto libero sei tu
E l'immensità
Si apre intorno a noi
Al di là del limite degli occhi tuoi
Il ragazzino si
immobilizza, ascolta quelle note ma soprattutto quelle parole, le mischia con
quelle il libro del suo nuovo eroe e forse proprio in quel momento, respira lo
stesso desiderio di pazzia e di libertà che solo la scoperta di un luogo
sconosciuto può dare.
In quel momento
il ragazzino, forse, diventa uomo.
Lo stesso uomo
che insieme alla sua compagna, fra poco più di un mese, viaggerà con la mente,
con gli occhi e con il corpo per andare su quelle strade che si appoggiano alle
pareti di quelle montagne. Le strade che il suo eroe, molti anni prima ha
percorso per avvicinarsi all’inizio di una scalata senza ossigeno, la quale ha
saputo togliere l’ossigeno anche a chi leggeva quelle pagine.
Partiremo da
Manali Gisella ed io, a bordo di Himma, così si chiamerà la nostra moto che per
questo viaggio sarà una Royal Enfield Himalayan.
Raggiungeremo Leh
e da quel punto inizieremo a salire, salire sempre più in alto, raggiungendo
gli oltre 5600 metri sul livello del mare.
L’aria non sarà
rarefatta come quella respirata dall’alpinista mito del ragazzino, ma in
qualche misura vi sarà vicina.
Le pietre saranno
le stesse, così come le stelle che potremo vedere quando la vera notte ci
salterà addosso lasciando Himma, Gisella ed io da soli nella nostra tenda da
alta montagna.
Sfida nella
sfida, Himma non è proprio una di quelle moto che possono essere definite da
corsa…. La sua potenza è di poco superiore ai 20 CV, 24,5 per l’esattezza. Peccato
che questo si riferisca al livello del mare e come tutti sappiamo, il motore
per funzionare ha bisogno di aria. Aria con ossigeno, perché è tutto una
questione di chimica…..
La chimica, la
stessa che ci fa sentire le farfalle allo stomaco sapendo che fra poco
partiremo e la stessa che mi fa sorridere quando qualcuno mi chiede se non
siamo un po’ matti o, solo a me dice che sono vecchio.
Matto io ?
Matto per me è
chi accetta inerme di non scoprire, di non vedere, di non sentire cosa il mondo
ci regala. Matto è chi nasconde la propria paura travestendola da pigrizia. Matto
è chi si ferma.
E poi, vecchio io ?
Non sono vecchio, sono solo uno che ha tanti ricordi !
E poi, vecchio io ?
Non sono vecchio, sono solo uno che ha tanti ricordi !
Seguiteci sulle
strade del tetto del mondo, respireremo poco,
viaggeremo tanto, parleremo il giusto, racconteremo tutto.