28 giu 2017

Il nostro canto Libero

Erano circa le 15 del pomeriggio, di un luglio reso umido ed appiccicaticcio dall’arsura di quell’aria inesistente che, immobile, ti spinge a dosare le forze anche solo nello stare fermo.
Quel ragazzino, all’ombra di una vite avvinghiata alla recinzione che divide il cortile della casa dei suoi genitori con quella dei vicini, è seduto su una sedia a sdraio in attesa che il sole diventi meno aggressivo e lui possa tornare a riempire la sua giornata di vacanza con i suoi giochi preferiti.
Di norma la bicicletta ed il pallone, rigorosamente scagliato verso il cancello che fungeva da rete, ma come tutti i campioncini, talvolta la traiettoria del pallone prendeva direzioni differenti investendo con la sua furia le rose della mamma.
Lui è la, in pantaloncini corti, maglietta della sua squadra del cuore indosso, scarpette da calcio rigorosamente legate con le stringhe avvolte su se stesse per due volte, insomma sarebbe pronto per dare il calcio di inizio.
Ma il caldo e non ultimo, o forse si…ultimo, i compiti delle vacanze, lo costringono ad una pausa forzata ed alla lettura di un libro sul quale, poi, dovrà ricostruirne le tracce nel fatidico e sempre traumatico riassunto del libro delle vacanze.
La scelta del libro era libera e siccome il ragazzino tutto avrebbe voluto fare tranne che immobilizzare se stesso e concentrarsi nella lettura, la sua mamma gli consigliò un qualcosa che magari avrebbe potuto risvegliare in lui la giusta voglia di leggere.
Gli venne consegnato un tomo che ai suoi occhi appariva ingestibile ed eterno, centinaia di pagine da leggere, scritte in piccolo, ma per fortuna, anche qualche immagine.
Sulla copertina c’era la foto di un uomo, vestito con giacca a vento, cappello in testa, il cappuccio della giacca a coprire ulteriormente il capo e le mani erano nascoste da guanti giganti. Lui, leggermente chino su se stesso è in piedi, alle sue spalle il vuoto e sotto i suoi piedi la cime di una delle montagne più alte al mondo, il Nanga Parbat, o meglio conosciuta la montagna assassina.
Quell’uomo, che divenne il mio mito da li a poco, è Reinhold Messner e quel libro narra della sua scalata in solitaria dopo che anni prima, sulle stesse pareti, vide morire suo fratello.
Quel ragazzino, aprì il libro ed iniziò a guardare le immagini frutto delle foto dell’alpinista.
Erano immagini spettacolari, toglievano il fiato e nel contempo avevano la capacità di annullare persino l’arsura di quel pomeriggio di luglio.
Il ragazzino leggeva quelle parole intanto che con la mente già viaggiava. Scoprì che quelle foto erano state fatte da Reinhold scegliendo i passaggi più tecnici e difficili. Per riuscirvi, il pazzo alpinista, era costretto a percorrere tre volte lo stesso passaggio. La prima volta per comprendere se fosse possibile, una seconda volta per farsi immortalare dall’autoscatto della sua macchina fotografica, una terza ed ultima volta per recuperare la macchina stessa.
Il ragazzino faticava a leggere senza fermarsi e senza riflettere sulla grandezza di un gesto simile. In solitaria, senza nessuno, senza ossigeno, solo con se stesso e con la propria forza di volontà che talvolta, solo talvolta, pare abbandonarlo.
Le pagine scorrono veloci e quasi la bicicletta ed il pallone sono passati in secondo piano.
Dalla stanza dove la mamma del ragazzino è intenta a cucire, cosa che fa di mestiere in quanto sarta, la radio di quegli anni lancia una canzone che fa così:
In un mondo che
Non ci vuole più
Il mio canto libero sei tu
E l'immensità
Si apre intorno a noi
Al di là del limite degli occhi tuoi
Il ragazzino si immobilizza, ascolta quelle note ma soprattutto quelle parole, le mischia con quelle il libro del suo nuovo eroe e forse proprio in quel momento, respira lo stesso desiderio di pazzia e di libertà che solo la scoperta di un luogo sconosciuto può dare.
In quel momento il ragazzino, forse, diventa uomo.
Lo stesso uomo che insieme alla sua compagna, fra poco più di un mese, viaggerà con la mente, con gli occhi e con il corpo per andare su quelle strade che si appoggiano alle pareti di quelle montagne. Le strade che il suo eroe, molti anni prima ha percorso per avvicinarsi all’inizio di una scalata senza ossigeno, la quale ha saputo togliere l’ossigeno anche a chi leggeva quelle pagine.
Partiremo da Manali Gisella ed io, a bordo di Himma, così si chiamerà la nostra moto che per questo viaggio sarà una Royal Enfield Himalayan.
Raggiungeremo Leh e da quel punto inizieremo a salire, salire sempre più in alto, raggiungendo gli oltre 5600 metri sul livello del mare.
L’aria non sarà rarefatta come quella respirata dall’alpinista mito del ragazzino, ma in qualche misura vi sarà vicina.
Le pietre saranno le stesse, così come le stelle che potremo vedere quando la vera notte ci salterà addosso lasciando Himma, Gisella ed io da soli nella nostra tenda da alta montagna.
Sfida nella sfida, Himma non è proprio una di quelle moto che possono essere definite da corsa…. La sua potenza è di poco superiore ai 20 CV, 24,5 per l’esattezza. Peccato che questo si riferisca al livello del mare e come tutti sappiamo, il motore per funzionare ha bisogno di aria. Aria con ossigeno, perché è tutto una questione di chimica…..
La chimica, la stessa che ci fa sentire le farfalle allo stomaco sapendo che fra poco partiremo e la stessa che mi fa sorridere quando qualcuno mi chiede se non siamo un po’ matti o, solo a me dice che sono vecchio.
Matto io ?
Matto per me è chi accetta inerme di non scoprire, di non vedere, di non sentire cosa il mondo ci regala. Matto è chi nasconde la propria paura travestendola da pigrizia. Matto è chi si ferma.
E poi, vecchio io ?
Non sono vecchio, sono solo uno che ha tanti ricordi !

Seguiteci sulle strade del tetto del mondo, respireremo poco, viaggeremo tanto, parleremo il giusto, racconteremo tutto.